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Caterina Flick interviene su L’Huffington Post in materia di violenza di genere ed informazione sui media

L’Huffington Post  07/12/2017  

“Nel 2015 un rapporto della Broadband Commission per lo sviluppo digitale, nata per iniziativa dell’Unesco e dell’Itu, rivelava che quasi tre quarti delle donne online sono esposte a qualche forma di violenza in rete e sollecitava i governi e le imprese a darsi da fare per proteggere le donne, e le giovani, vittime di minacce e molestie on line. Tra le forme di violenza lo hate speech, il linguaggio d’odio verso le donne, è un fenomeno che non accenna a fermarsi. Al contrario, a scorrere il web sembra che stiano crescendo l’aggressività verbale e una rappresentazione delle donne stereotipata e discriminatoria. Allo stesso tempo è in aumento la violenza contro le donne fuori dalla rete. Secondo i dati Istat, presentati dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, quasi sette milioni di donne in Italia hanno riferito di avere subito violenza fisica o sessuale. E in gran parte dei casi gli autori della violenza sono compagni o ex partner. È difficile non pensare a un legame tra i due fenomeni. D’altra parte la violenza e il femminicidio sono la conclusione di un percorso, nel quale la donna è considerata un oggetto da possedere. Un retaggio culturale che si fatica a superare e sul quale è necessario lavorare. Da anni si discute e si critica la rappresentazione delle donne nei media, eppure a ogni ricorrenza si ripetono gli stessi discorsi e sembra che nulla cambi. Basti pensare che soltanto pochi mesi fa la Tv pubblica mandava in onda un talk show nel quale si stilava la classifica dei motivi per cui gli uomini italiani dovrebbero scegliere una fidanzata dell’est: tra i motivi – guarda caso – la disponibilità a far comandare l’uomo e a essere casalinghe perfette. E infatti l’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali, nel rapporto diffuso nel novembre 2017, evidenzia che la violenza nei confronti delle donne – online e offline – è quasi endemica e come sia difficile sradicare gli stereotipi di genere, anche a causa della rappresentazione che viene fatta delle donne su tutti i media. Per quel che riguarda il web, non si tratta soltanto di ciò che scrivono i “leoni da tastiera” sui social, anche l’informazione professionale a volte contribuisce a infiammare dibattiti che alimentando stereotipi maschilisti. È sufficiente leggere alcuni commenti agli articoli che parlano dei casi di cronaca. In primo luogo la violenza raccontata. Insistere nei particolari più morbosi di una violenza. Interpretare le ragioni di comportamenti inaccettabili (il delitto d’onore è stato abrogato più di trentacinque anni fa). Stimolare il tribunale mediatico, che emette la sua sentenza ben prima che il percorso giudiziario sia concluso. Si tratta di cronaca? O ancora, riproporre i dettagli di una violenza quando il tempo è trascorso e la giustizia ha fatto il suo corso. Fino a che punto si risponde all’interesse pubblico all’informazione? E poi, il linguaggio utilizzato. Parlare di raptus omicida, per troppo amore o per gelosia, per descrivere l’uomo che ha ucciso, sfregiato, ferito la compagna. Sottolineare l’odio o il perdono di una donna per il suo aggressore. Non si rischia di lasciare spazio a giustificazioni facili? Infine, riportare le vignette e i commenti violenti e aggressivi, anche se per condannarli. Non è un modo per continuare a farli circolare? Permettere che una violenza si trasformi in pettegolezzo e luogo comune non la contrasta, al contrario la banalizza e rischia di portare all’assuefazione. Non c’è solo il web, dunque. Ma sul web, dove i canali di informazione sono molteplici, l’informazione professionale può avere un ruolo importantissimo nella diffusione di una cultura diversa e nel contrasto alla violenza contro le donne. Alcuni giornalisti e alcune giornaliste ci hanno pensato, proponendo il “Manifesto delle giornaliste e dei giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’informazione”, un vero e proprio decalogo delle priorità per fare corretta informazione, nella sostanza e nella forma. Tutte e dieci le regole del decalogo meritano di essere divulgate. Due, in particolare, mi sembrano il punto di partenza fondamentale: “adottare un comportamento professionale consapevole per evitare stereotipi di genere e assicurare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate e “contrastare ogni forma di sfruttamento a fini “commerciali” (più copie, più clic, maggiori ascolti della violenza sulle donne) L’adozione di queste due regole da parte di tutti gli organi di informazione basterebbe per fare la differenza. In vista del prossimo 25 novembre, come essere umano e come donna me lo aspetto”.

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