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Esternalizzazione dell’attività di impresa, ma mantenimento di (almeno alcuni) rischi?

È di pochi giorni fa (24 aprile 2024) l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, della direttiva CSDDD[1], nota come “supply chain act”, che impone alle società e ai loro partner commerciali obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi della loro attività. Deve il nome al fatto che implica un controllo anche sui fornitori. Essa si inserisce, insieme alla CSRD[2], nel quadro delle azioni volte all’introduzione di uno standard europeo di condotta aziendale responsabile e sostenibile. Poiché in generale l’attività di compliance comporta oneri e quindi suscita resistenza, l’iter di approvazione delle direttive è stato lungo complesso, ed è prevedibile che il processo attuativo sarà ancora accidentato.

Ma anche se, in ragione appunto di ciò, i destinatari diretti delle nuove regole sono al momento solo le grandi società, è illusorio pensare che le PMI ne siano esentate. Infatti, i nuovi doveri di controllo imposti (solo) alle grandi imprese sull’intera propria filiera implicano che le PMI fornitrici delle grandi imprese si trovino a non poter più svolgere tale ruolo senza rispettare gli standard richiesti. C’è quindi da attendersi che buona parte degli oneri della nuova disciplina finisca per essere sostanzialmente trasferito sulle PMI, pur essendone le medesime formalmente esenti.

Nella cronaca recente, ha suscitato un certo clamore il caso “Giorgio Armani Operations spa”, società che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori nell’ambito del gruppo Armani, che è stata posta in amministrazione giudiziaria ad inizio aprile dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, per presunto sfruttamento del lavoro[3]. Analogo provvedimento risulta esser stato adottato a gennaio nei confronti della Alviero Martini spa. Con tutte le dovute cautele (allo stato le notizie sono desumibili solo da informazioni di stampa) essendo ancora in corso di svolgimento le indagini preliminari da parte della Procura di Milano e, quindi, non essendosi ancora pronunciato il Gip in merito all’eventuale richiesta di archiviazione o rinvio a giudizio, ed in quest’ultimo caso con la necessaria formulazione del capo o dei capi di imputazione, in entrambi i casi – e presumibilmente nell’ambito del medesimo filone di indagine – risulterebbe che le società siano ritenute responsabili per  non aver controllato la propria filiera produttiva. Da qui il ricorso all’amministrazione giudiziaria quale strumento preventivo di “bonifica” per far emergere le irregolarità e “rieducare” la società senza compromettere la continuità dell’attività e gli interessi dei creditori. Proprio ciò che la nuova direttiva si propone.

In tale contesto, assume particolare rilevanza lo strumento a cui molto spesso le grandi imprese ricorrono, e cioè l’appalto di una parte del proprio ciclo produttivo. L’intento è, inevitabilmente, quello di ridurre i costi: tuttavia, è facile passare, anche inavvertitamente (o quasi…), allo sfruttamento lavorativo. Spesso, infatti, ed in assenza di obblighi e controlli, le imprese sono portate a esternalizzare tramite tale forma contrattuale parte della propria attività senza porsi troppe domande – e/o senza fare troppi controlli – sull’appaltatore a cui si rivolgono. Appaltatore il quale (ovviamente nei casi patologici) a sua volta subappalta l’attività, come viene riportato con riferimento ai casi di cronaca citati, “a opifici abusivi che facevano ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina, con orari di lavoro massacranti e paghe orarie molto basse”.

A livello di normativa nazionale, è proprio di questi giorni la conversione in legge del D.L. 19/2024[4] che, tra l’altro, modifica in senso restrittivo la vigente normativa applicabile all’attività lavorativa, regolamentando ulteriormente la disciplina dell’appalto di opere e servizi, del distacco di lavoratori e della somministrazione di lavoro e inasprendo le sanzioni.

È quindi evidente che particolare attenzione va posta nella redazione dei contratti di appalto, ricordando che è quantomeno necessario che vi sia in capo all’appaltatore l’assunzione del rischio d’impresa, una reale organizzazione imprenditoriale e autonomia organizzativa. Fermo restando che l’appalto è possibile, e lecito, entro i limiti appena tratteggiati, la nuova norma nazionale impone regole volte a vietare il cd dumping contrattuale, imponendo comunque l’applicazione necessaria di un trattamento economico dei lavoratori parametrato ai principali contratti collettivi di categoria[5].

Onde rafforzare tale divieto, è ora prevista la responsabilità solidale dell’utilizzatore in tutti i casi di somministrazione, appalto e distacco illeciti.

Inoltre, tali fattispecie illecite sono ora sanzionate anche penalmente, sia pure con sanzioni che – sia lecito dire – per le grandi imprese non paiono essere troppo pesanti[6]: ma che possono invece risultare più gravose per la piccola o media impresa o per l’imprenditore che si presti a svolgere l’attività nei modi ora sanzionati.

L’intento del complesso normativo, nazionale e comunitario, è chiaramente volto a creare una cultura del corretto utilizzo degli strumenti contrattuali, evitando finalità elusive e forzando le grandi società a svolgere specifiche valutazioni sui possibili impatti della propria business strategy: esse dovranno dunque non solo controllare la propria attività, ma selezionare attentamente le imprese con cui collaborare e controllare costantemente ed efficacemente lo svolgimento del rapporto contrattuale e l’esecuzione delle prestazioni ivi previste. Con l’obbligo, previsto dalla CSRD, di rendicontare quanto fatto in tema di sostenibilità.

A mero titolo esemplificativo, gli obblighi previsti dal supply chain act concernono l’integrazione del dovere di diligenza in materia di diritti umani e di ambiente nelle politiche e nei sistemi di gestione dei rischi della società, anche rispetto all’attività dei propri partner commerciali, nonché il coinvolgimento di tutti i portatori di interessi attraverso consultazioni trasparenti ed efficaci.

È inoltre prevista l’istituzione in ogni stato membro di autorità di controllo munite del potere di effettuare ispezioni ed irrogare sanzioni pecuniarie elevate e, in caso di inadempimento, di emettere una dichiarazione pubblica che indichi il responsabile e la violazione: con le evidenti conseguenze reputazionali.

Insomma, il programma e lo scopo sono chiari: all’attuazione pratica (da parte delle imprese, e anche da parte di chi sia chiamato a controllarle) il compito di farne strumento di minaccia, lettera morta, o vera cultura della sostenibilità.

[1] Corporate Sustainability Due Diligence Directive – direttiva approvata dal parlamento europeo, d’intesa con il Consiglio che deve tuttavia formalmente approvarla prima che venga pubblicata sulla gazzetta ufficiale dell’unione europea
[2] Corporate Sustainability Reporting Directive – direttiva 2022/2464 sulla rendicontazione societaria di sostenibilità
[3] Queste le notizie di stampa; a rigore di norma dovrebbe essere sottoposta alla misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria per un periodo di un anno, prorogabile solo fino ad un massimo di due, solo l’attività ed i beni utilizzati per l’attività illecita, con lo scopo di addivenire alla rimozione delle situazioni di fatto e di diritto che avevano dato origine alla misura (art. 34 D. Lgs. 159/2011)
[4] D.L. 19/2024 “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”, convertito con modificazioni in L. 56/2024, pubblicata sulla G.U. del 30 aprile 2024.
[5] Il comma 1bis dell’art. 29 D. Lgs. 276/03, introdotto dal D.L. 19/2024 e in vigore dal 1 maggio 2024, recita “Al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto
[6] Per le ipotesi di appalto e distacco illeciti, pena dell’arresto fino a un mese;
pena dell’ammenda di € 60 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro, a carico dello pseudo committente/distaccante e dello pseudo appaltatore/distaccatario.
Nel caso di accertato sfruttamento di minori resta confermata la pena dell’arresto fino a 18 mesi e dell’aumento dell’ammenda fino al sestuplo.
In caso di “recidiva”, gli importi delle sanzioni sono aumentati del 20% ove, nei 3 anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni penali per i medesimi illeciti.
La sanzione applicata non può, in ogni caso, essere inferiore a 5.000 euro, né superiore a 50.000 euro.

 

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