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Il project financing finanziato dalle banche: la Corte dei conti avverte sul rischio dell’operazione per il pubblico erario.

Con la recente delibera n. 37/2024 (sez. controllo per l’Emilia-Romagna) la Corte dei conti ha rilevato che le operazioni di project financing, se non correttamente gestite, possono contribuire ad un depauperamento delle risorse pubbliche. Ciò può accadere, in particolare, “laddove l’operatore privato non disponga del capitale necessario per finanziare integralmente il progetto, e debba dunque ricorrere a finanziamenti. Tali costi finanziari aggiuntivi, sotto forma di elevati tassi di interesse bancari, dovranno infatti essere coperti per garantire un adeguato ritorno sull’investimento”.

Il project financing: un inquadramento

Il project financing è una delle forme di partenariato pubblico privato (“PPP”), ovvero di cooperazione tra settore pubblico e settore privato, con lo scopo di finanziare, costruire e gestire infrastrutture o fornire servizi di interesse pubblico.

In particolare, esso rappresenta una modalità di realizzazione e gestione di un’opera di pubblico interesse fondata sulla predisposizione del progetto preliminare e del piano economico da parte di un promotore privato, il quale, per il tramite del coinvolgimento di soggetti finanziatori, assume a proprio carico gli oneri derivanti dai costi di esecuzione (Cons. Stato, parere, n. 823/2020). Utilizzato soprattutto per progetti di investimento a lungo termine, è stato definito come un “progetto che si finanzia con la sua realizzazione” e che vede coinvolti, da un lato, i finanziatori, che forniscono il capitale necessario per la realizzazione e l’esercizio del progetto, dall’altro, il promotore, che si fa portavoce di un progetto la cui gestione deve avere capacità di produrre flussi di cassa tali da attirare capitale di finanziamento nella misura necessaria; capitale che è per lo più capitale di debito, finanziato da istituti di credito (Corte Conti, sez. giur. Emilia-Romagna, n. 113/2017).

Il nuovo Codice dei Contratti pubblici lo ha inquadrato tra i contratti di concessione, caratterizzati dal trasferimento del rischio operativo al concessionario, che dunque assume su di sé il rischio di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e a coprire i costi sostenuti per erogare i servizi oggetto del contratto.[1]

Luci e ombre dell’istituto

Il project financing offre indubbi vantaggi, quali la riduzione dell’impiego di risorse pubbliche ed un più efficace impiego delle competenze e delle risorse del settore privato. Come evidenziato in giurisprudenza, infatti, esso è uno strumento a disposizione dell’Amministrazione per superare crisi finanziarie e vincoli posti alla spesa pubblica, tendenzialmente idoneo a promuovere un significativo rinnovamento dell’Amministrazione attraverso l’acquisizione di specifiche conoscenze tecniche e scientifiche, proprie delle realtà private, capaci di fornire nuovi e innovativi strumenti per rendere l’azione amministrativa sempre più coerente con i principi di imparzialità e buon andamento predicati dall’art. 97 della Costituzione (Cons. Stato, Commissione speciale, n. 755/2017, parere).

Tuttavia, la stessa giurisprudenza ha messo in luce anche le ricadute che un utilizzo distorto del project financing può comportare sulle risorse pubbliche, soprattutto quando il soggetto promotore non disponga di un capitale iniziale e debba quindi ricorrere ad un finanziamento. In tale contesto, infatti, le ricadute finanziarie dell’applicazione del project financing finiscono strutturalmente per arrecare un evidente depauperamento a carico delle pubbliche finanze, imponendo non solo gli oneri che derivano dalla necessità di prevedere un lucro per il privato interventore, ma altresì gli ulteriori e separati oneri che sorgono dalla necessità di copertura dei tassi di interesse che il sistema creditizio imporrà all’imprenditore al fine di garantirgli la provvista finanziaria per la realizzazione del suo progetto. Per tale ragione, è necessario assoggettare l’istituto ad una “interpretazione di tipo restrittivo”, stante il suo “potenziale contrasto con gli interessi finanziari delle collettività in cui esso venga estensivamente utilizzato”. “(T.A.R. Puglia Bari, sez. II, n. 237/2024).

Del resto, la stessa giurisprudenza contabile aveva in passato sottolineato l’esigenza di evitare un uso improprio dell’istituto, come accade quando l’Amministrazione si rende garante presso il soggetto finanziatore (normalmente un istituto bancario) rispetto al capitale concesso in credito al promotore. In tal modo infatti “si svilisce la funzione del project financing, la quale non può ridursi ad una tecnica di finanziamento delle opere pubbliche, ma deve consentire il trasferimento in capo ai privati, almeno in parte, dei rischi relativi al buon esito del progetto” (Corte Conti, sez. controllo Emilia-Romagna, Delibera n. 5/2012).

L’analisi costi-benefici: strumento a tutela delle finanze pubbliche

Per scongiurare un simile rischio, la Corte dei conti – con la delibera qui commentata – ha ritenuto che vada posto al centro dell’indagine l’assetto di interessi alla base dell’operazione: assetto che deve necessariamente garantirne l’equilibrio economico-finanziario. Tale equilibrio deve caratterizzare l’operazione non solo per il promotore privato ma anche per l’Amministrazione, la quale dovrà svolgere – possibilmente “in anticipo” rispetto al progetto, mediante una verifica preliminare – un’attenta analisi dei costi-benefici dell’investimento, per garantire che l’operazione non si traduca in un trasferimento di rischi o extraprofitti non compatibili con il pieno raggiungimento dell’interesse pubblico.

È dunque solo attraverso una valutazione attenta ed equilibrata delle operazioni di project financing che diviene possibile garantire il massimo beneficio per la collettività e un uso oculato delle risorse pubbliche.

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[1] Articoli 174 e 193 del D. lgs. n. 36/2023

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