Opinioni
L’IVA all’importazione è un diritto di confine? I dubbi della Cassazione e le conseguenze sanzionatorie in ambito doganale
Premessa
Quando le autorità doganali riscontrano l’omesso o parziale pagamento dell’IVA all’importazione su merci di provenienza extracomunitaria, non è infrequente che l’Autorità giudiziaria inquirente disponga il loro sequestro conservativo in base all’assunto che si configuri il delitto di contrabbando doganale.
In un caso che ha riguardato dei nostri assistiti, il Tribunale penale competente, con una sentenza approfondita e ben argomentata, ha accolto la nostra tesi, che evidenziava come l’IVA all’importazione non avesse natura di diritto di confine e che pertanto la sua evasione non potesse configurare tale reato (quantomeno delle ipotesi in cui lo stesso non risulta depenalizzato).
Tuttavia, il tema, che ha risvolti teorici e pratici di notevole rilevanza (anche ai fini della L. n. 231/2001, poiché il contrabbando – nelle ipotesi non depenalizzate – rientra tra i reati presupposto), resta assai dibattuto ed aperto, in quanto sul punto la Cassazione non ha ancora preso un indirizzo definitivo.
1. L’Art. 70 del DPR 633/72, che rinvia alle “Leggi Doganali relative ai diritti di confine” e le peculiarità dell’IVA all’importazione. La sua qualificazione come diritto di confine
Ma qual è la ragione per cui parte della giurisprudenza e della dottrina qualifica l’IVA all’importazione come un diritto di confine, con l’ulteriore conseguenza che la sua evasione può dar luogo al contrabbando doganale?
Essa è riconducibile in parte all’art. 70 del DPR n. 633 del 1972, istitutivo dell’IVA, che al primo comma stabilisce che “si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”.
Il punto focale su cui si discute è se il rinvio debba intendersi “quoad penam”, ossia al solo fine di individuare le sanzioni amministrative da irrogare nel caso di mancato assolvimento dell’IVA all’importazione, o se invece il legislatore abbia inteso qualificare l’IVA in tale contesto come un diritto di confine, al punto da ritenere applicabile la legislazione doganale anche in ambito penale.
In questa seconda ipotesi sarebbe configurabile la fattispecie di cui all’art. 292 del Tuld:
“(…) chiunque fuori dei casi previsti negli articoli precedenti, sottrae merci al pagamento dei diritti di confine dovuti, è punito con la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti medesimi”.
Non è questa la sede per esaminare i numerosi e complessi profili sistematici della tematica fiscale, né per addentrarsi in profili prettamente penalistici. Qui basterà rilevare che quando l’IVA è applicata alle importazioni, presenta connotati sicuramente peculiari. Anzitutto, i procedimenti di accertamento e di riscossione del tributo sono disciplinati dalla legislazione doganale. In secondo luogo, mentre di regola il soggetto passivo del tributo unionale è chi agisce nell’esercizio di un’attività d’impresa o professionale, qui l’IVA colpisce “le importazioni da chiunque effettuate” (art. 1 del DPR sull’IVA), e dunque anche quelle operate da privati consumatori.
Ancora, mentre in genere l’IVA è applicata in tutti gli stadi del processo economico in cui intervengono i soggetti passivi IVA (imprese e professionisti) e liquidata mensilmente o trimestralmente “per masse”, per cui può qualificarsi come imposta plurifase non cumulativa, in questo caso essa è assolta per singole operazioni di importazione, atteggiandosi piuttosto ad imposta monofase. Ciò sicuramente può aver rafforzato l’idea che si tratti di un tributo diverso dall’IVA “propriamente detta”. D’altra parte, è stato detto che se
(i) l’IVA si collega in modo sistematico a ciascuna operazione d’importazione e
(ii) deve essere riscossa dall’Agenzia delle dogane nello svolgimento delle operazioni doganali per il solo fatto dell’ingresso nel territorio nazionale (a prescindere dall’effettivo consumo del bene), allora essa può a ragione includersi, lato sensu, nel novero dei diritti doganali.
2. L’oscillante posizione della Cassazione sulla natura dell’IVA all’importazione e i chiarimenti della Corte di Giustizia UE.A quando una pronuncia delle Sezioni Unite?
Ponendosi nel solco di questa interpretazione, un certo filone della Corte di Cassazione civile, (si veda ad es. Sez. tributaria, n. 1575 del 3.2.2012) ha ritenuto di qualificare come diritti doganali i prelievi agricoli e l’IVA all’importazione. Nello stesso senso la meno recente Cassazione penale (Sez. III, n. 13381 del 12 febbraio 2001), per la quale “il trattamento dell’evasione dell’iva all’importazione è omogeneo a quello della sottrazione e diritti doganali, e in particolare i diritti di confine”.
Circa la giurisprudenza di merito, una posizione analoga viene espressa, ad esempio, dal Tribunale del riesame di Rimini, (20 ottobre 2011), per il quale ai sensi dell’art. 34 del DPR n. 43/1973, l’IVA all’importazione è un diritto di confine perché ha natura di imposta di consumo a favore dello Stato ed è riscossa in via esclusiva dalla dogana in relazione all’operazione di importazione, con l’ulteriore conseguenza che la sua evasione deve ricondursi alla configurazione del reato di contrabbando doganale.
Altra parte della Cassazione si è invece conformata alla posizione espressa dalla Corte di giustizia dell’UE, che ha affermato sia l’unitarietà dell’IVA – di cui quella all’importazione è parte integrante – che la diversità funzionale ed applicativa di tale tributo rispetto ai dazi doganali. Per il giudice unionale, l’IVA all’importazione non colpisce solo il prodotto importato in quanto tale, ma si inserisce nel sistema fiscale uniforme dell’IVA, che colpisce sistematicamente e secondo criteri obiettivi, sia le operazioni degli Stati membri, sia quelle all’importazione (17 luglio 2014, causa C272/13, Equoland). Sulla scia di ciò, in alcune decisioni la Cassazione ha evidenziato che il collegamento esistente tra fatto generatore ed esigibilità dell’IVA all’importazione e i dazi, non elide le loro differenze, posto che la prima è incardinata nel sistema generale dell’IVA (cfr. Cassazione, n. 16463 del 2016, n. 8473 del 2018). Il pagamento dei dazi doganali comporta l’immissione della merce in libera pratica, cui consegue il riconoscimento della posizione doganale di merce comunitaria, ossia di poter circolare liberamente nell’UE. Tuttavia, per l’inserimento della merce nel circuito commerciale occorre altresì la sua immissione in consumo, che richiede l’osservanza delle condizioni e formalità prescritte per l’importazione definitiva, tra cui rientra l’IVA all’importazione.
Dunque, in questa prospettiva l’IVA ha natura unitaria ed è sempre un tributo interno, per cui il fatto che la sua riscossione è attribuita all’Agenzia delle Dogane non si collega alla diversa natura del tributo ma dipende da mere economie di gestione.
Si sottolinea inoltre che – a differenza dell’IVA – i diritti doganali costituiscono risorse proprie dell’UE, il che chiarisce, ove ve ne fosse bisogno, la diversa natura di tali tributi. Ed è la stessa Agenzia delle dogane, con circolare 10/D del 4 Marzo 2003, in riferimento al condono tombale della l. n. 289 del 2002, ad affermare che tale istituto si applica solo ai tributi nazionali- tra cui si fa rientrare espressamente l’IVA all’importazione- mentre ne sono esclusi dazi, costituenti risorsa propria comunitaria.
Conclusivamente, anche se riteniamo che la posizione espressa dal giudice unionale e dalle più recenti sentenze della Cassazione abbia correttamente ritenuto che l’IVA sulle importazioni non rientri tra i diritti di confine, l’assenza di una posizione univoca da parte del giudice di legittimità comporta tutt’oggi il rischio di vedersi sottoporre a sequestro penale le merci importate in presenza di contestazioni sull’ assolvimento dell’IVA. Per questo, al di là della necessità di valutare attentamente il da farsi con professionisti qualificati, è auspicabile che la Suprema Corte metta la parola fine al dissidio tra sezioni con una pronuncia a sezioni unite.
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