Opinioni
La Cassazione rinvia al giudice di merito per la remissione alla Consulta sulla legittimità della deroga al favor rei.
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Con la sentenza 2950 depositata il 5 febbraio 2025 la Suprema Corte di Cassazione ha rimesso alla Corte di Giustizia Tributaria della Toscana la valutazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del D.lgs. 87/2024 sollevata in via subordinata nel ricorso per Cassazione proposto dal ricorrente. In particolare, tale norma ha modificato la disciplina delle sanzioni tributarie introducendo sanzioni più miti, limitando, tuttavia, tale modifica alle sole violazioni commesse a far data dal 1° settembre 2024.
Nell’accogliere l’eccezione, il Collegio, oltre a rimettere al giudice di merito la pronuncia sull’applicazione della sanzione ritenuta corretta per le violazioni effettuate dal ricorrente, ha affermato incidenter tantum che, lo stesso, dovrà valutare contestualmente la questione di illegittimità costituzionale in relazione alle previsioni contenute nell’art. 5 del D.lgs. n. 87/2024, sollevata in via subordinata dal ricorrente in memoria.
Questa decisione segue poco dopo un’altra pronuncia della stessa Sezione Tributaria della Suprema Corte (sentenza 1274 depositata il 19 gennaio 2025), che, sempre in tema di applicazione del favor rei alle sanzioni tributarie, aveva ritenuto che non sussistessero ragioni che inducessero a riconoscere la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del già citato art. 5 del suddetto decreto avanzata dal Contribuente.
Si tratta invero di una tema delicato e dai risvolti pratici cruciali per i contribuenti, concernendo una deroga al principio di rilevanza costituzionale del “favor rei” in ossequio del quale alle violazioni non definitive si applicano le sanzioni più favorevoli.
Il favor rei e la nuova disciplina sanzionatoria
Nel Diritto tributario il favor rei è previsto dall’art. 3, comma 3 del Dlgs 472/1997, la norma in analisi stabilisce che “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo “.
Tale precetto trae il suo fondamento dall’art. 3 della Costituzione, secondo il quale tutti i cittadini sono eguali davanti la legge e identiche situazioni giuridiche soggettive necessitano essere disciplinate tutte allo stesso modo.
Come anticipato in premessa, il legislatore con il D.lgs. 87/2024, in attuazione di quanto previsto dalla Legge delega per la riforma fiscale n.111/2023, è intervenuto modificando la normativa sulle sanzioni tributarie, prevedendo in molti casi la diminuzione non indifferente delle sanzioni, al fine di garantire maggiore aderenza al principio di proporzionalità di derivazione comunitaria.
Tuttavia, con l’art. 5 Dlgs 87/2024, il legislatore ha previsto l’irretroattività di tali sanzioni più miti, prevedendo che le stesse si applicano esclusivamente “[…] alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024.”
La decisione della Corte e la parziale smentita del precedente orientamento
Nel giudizio culminato con la sentenza in commento, che aveva ad oggetto violazioni di norme tributarie commesse negli anni d’imposta 2004 e 2005 , il Contribuente che aveva ricevuto un accertamento con irrogazione della sanzione prevista ai sensi del D.lgs. 472/1997 così come modificato dal D.lgs. 98/2011, invocava l’applicazione delle sanzioni più favorevoli, così come modificate dal D.lgs. 158/2015, in ottemperanza a quanto previsto dal favor rei.
Inoltre, nelle more del giudizio, il Contribuente aveva altresì chiesto, in subordine sempre in ossequio al principio del favor rei, l’applicazione delle sanzioni ancora più miti, così come modificate dal D.lgs. 87/2024.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo di doglianza con cui la parte ricorrente invocava l’applicazione della sanzione più favorevole contenuta nel D.lgs. 158/2015, quale ius superveniens rispetto al fatto, per questo cassava la sentenza e rinviava al Giudice di merito per la valutazione della corretta sanzione applicabile nonché, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente.
Viceversa, nella precedente sentenza (n. 1274/2025) dinanzi alle analoghe richieste della parte ricorrente volte a dedurre la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 D.lgs. 87/2024, gli Ermellini non avevano avuto dubbi nel rigettare in toto il ricorso, ravvisando come “[…] non sussistano ragioni che inducano a riconoscere la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, del D.lgs. 87/2024 […]” non ritenendo quindi necessario la remissione della valutazione sulla questione al Giudice a quo.
In particolare, il Supremo Collegio aveva fondato la sua decisione sull’assunto che nell’ambito di una riforma del sistema tributario quale sostanziale modifica e riassetto del rapporto fisco/contribuente, risultava giustificata la scelta del legislatore nel prevedere l’applicazione delle sanzioni più favorevoli soltanto a partire da una certa data.
Difatti, nella stesura della motivazione la Suprema corte precisa come “il file rouge che giustifica la irretroattività delle sanzioni più favorevoli è la emersione di diritti o finalità di pari o superiore livello alla garanzia sacrificata ” per questo “un simile riassetto giustifica la scelta del legislatore delegato“.
In sintesi, la sentenza sottolinea come sia necessario trattare allo stesso modo, dal punto di vista sostanziale, la sanzioni penali e tributarie, ma osserva come il favor rei possa recedere di fronte alla tutela di contro interessi costituzionali, richiamando a supporto diverse decisioni prese sia a livello costituzionale che unionale aventi il medesimo orientamento. (ex multis vd..Corte cost. Sent. n. 63/2019, Corte Cost. Sent. n. 10/2015, CGUE causa C-107/2023).
Il Collegio, pertanto, conclude come la previsione di sanzioni più leggere comporta una riduzione delle risorse già preventivate, con effetti anche sul raggiungimento di prestazioni standard anch’esse tutelate costituzionalmente, quali i servizi sanitari, scolastici e di sicurezza pubblica, oltre alle esigenze di tutela dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico ex art. 97 Cost.
Conclusioni
Alla luce della “nuova” posizione assunta nella sentenza in commento n. 2950, benché la Suprema Corte non ha ravvisato la necessità di rinviare essa stessa alla Corte Costituzionale la decisione circa la valutazione della legittimità dell’art. 5 citato, che, si rammenta, ha limitato l’applicazione delle sanzioni più favorevoli alle sole violazioni commesse a far data dal 1° settembre 2024, non può essere che accolta favorevolmente la rimessione della valutazione al Giudice di merito della non manifesta infondatezza in merito alla denuncia di illegittimità costituzionale sollevata dalla parte ricorrente, a differenza di quanto invece deciso nella sentenza n. 1274 previamente descritta.
Difatti, il precedente rigetto si basava su di un “sacrificio” eccezionale di quella che è la lex mitior in ragione di una lettura della riforma alla stregua di un ripensamento del ruolo della sanzione che non si esaurisce nella sua rideterminazione ma bensì nella modifica radicale del già menzionato rapporto tra Fisco e Contribuente in ossequio ad una ponderazione complessiva dei valori ed interessi di rilevanza costituzionale.
L’analisi in tal senso effettuata dal Giudice di legittimità innesca dei dubbi qualora si prendano ad oggetto i provvedimenti ancora in fase di definizione, suscettibili di essere annullati integralmente nel corso del giudizio, non è chiaro infatti quali effetti sostanziali essi esercitino sulla tutela degli interessi previamente descritti.
La posizione che la Corte ha assunto nella prima statuizione risulta tanto più illogica se si considera che la riforma ha come obiettivo riguadagnare la fiducia del contribuente, del recupero della ragionevolezza delle leggi tributarie e della loro proporzionalità al caso concreto.
Difatti all’art. 20 della Legge delega n.111/2023 vengono introdotte importanti disposizioni volte ad enfatizzare la condotta del contribuente e la proporzionalità delle sanzioni, nonché la necessaria previsione di un equilibrio tra sanzioni penali e tributarie. Ciò per adeguarsi a quanto più volte ribadito dalla Giurisprudenza unionale in tema di necessaria proporzionalità e rideterminazione delle sanzioni tributarie troppo severe (ex multis cfr. causa C-205/20 del 2022), essendo nel nostro ordinamento, prima di questa riforma, previste sanzioni che superavano agilmente il 100% del tributo dovuto.
Questi obiettivi appena descritti non possono che risultare in palese contraddizione con l’ultrattività della sanzione tributaria.
Ora, è indubbio che non si possa affermare, rebus sic stantibus, un cambio di orientamento sulla questione da parte del Giudice di legittimità, ma è altresì molto probabile che presto la questione verrà presto messa al vaglio della consulta.
Alla luce di quanto sopra spetterà ora al Giudice di merito valutare la non manifesta infondatezza dell’eccezione avanzata dal Contribuente e ci si auspica che la questione arrivi effettivamente di fronte alla Corte Costituzionale per le opportune valutazioni.
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