Opinioni
Le proroghe delle concessioni demaniali marittime sono illegittime: quali implicazioni?
L’ultima sentenza del Consiglio di Stato: sezione VII, 30 aprile 2024, n. 3943
La recente sentenza del Consiglio di Stato n. 3943/2024, che ha ribadito che la normativa italiana sulle proroghe automatiche delle concessioni balneari è “palesemente contraria ai principi del diritto unionale, e, come tale disapplicabile non solo dai giudici nazionali, ma anche dalle stesse pubbliche amministrazioni, non ultime quelle comunali” e che è necessario “dare immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale”, fornisce l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte della questione nel nostro ordinamento.
Principi affermati dalla recente giurisprudenza e stato dell’arte
La sentenza rappresenta l’ultimo tassello della complessa vicenda relativa al rilascio ed al rinnovo delle concessioni demaniali marittime in Italia che, a partire dalle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (nn. 17 e 18 del 2021), ha suscitato un ampio dibattito nazionale ed europeo.
In particolare, la Corte di Giustizia europea ha ribadito con la sentenza C-348/22 del 20 aprile 2023 che:
- l’art. 12 della Direttiva Bolkestein (2006/123), secondo cui gli Stati membri per assegnare una concessione balneare devono applicare una procedura imparziale e trasparente, produce effetti diretti nel nostro ordinamento;
- presupposto per poter applicare la citata Direttiva è la “scarsità delle risorse naturali”. Per valutare tale requisito, “l’Unione conferisce agli Stati un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili”, che devono pur sempre essere “obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati”, combinando un approccio generale e astratto con un approccio caso per caso, che tenga conto della situazione esistente nel territorio costiero del singolo Comune;
- ove il numero di autorizzazioni disponibili sia limitato “per via della scarsità delle risorse naturali, ogni amministrazione è tenuta ad applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, disapplicando, se del caso, le norme di diritto nazionale non conforme”.
Nel tentativo di guadagnare tempo e consentire di avviare l’istruttoria per l’avvio delle gare, il legislatore ha istituito un “tavolo tecnico” per la mappatura del litorale italiano, contestualmente abrogando tutte le precedenti norme recanti proroghe delle concessioni in essere e fissando la data del 31 dicembre 2024 quale termine finale di efficacia di queste ultime (art. 10-quater della legge n. 14/23). prevedendo inoltre la possibilità di un’ulteriore dilazione fino al 2025 per “ragioni oggettive”.
Gli spazi di manovra dei Comuni
Nel frattempo, in assenza di una normativa nazionale che regoli l’assegnazione delle concessioni demaniali in scadenza il 31 dicembre 2024, la maggior parte delle amministrazioni ha differito il termine di avvio delle gare, ritenendo sussistenti le “ragioni oggettive” che consentono un’ulteriore dilazione del termine finale delle concessioni. Tali proroghe hanno suscitato la reazione degli operatori e dell’AGCM, che le ha ritenute ingiustificate e illegittime in quanto basate su norme contrarie al diritto unionale, come più volte ribadito in giurisprudenza (da ultimo, Cons. Stato, n. 4479/2024). Pochi sono invece i Comuni che si sono determinati a bandire le gare per nuovi affidamenti.
I diritti degli attuali concessionari
Nel predetto scenario, è rilevante anche la posizione dei gestori uscenti, i quali rivendicano un indennizzo commisurato al valore non solo delle opere eseguite dagli stessi nel corso della concessione, ma anche degli investimenti effettuati e non ammortizzati a causa della cessazione anticipata del rapporto disposta dalla legge di riordino del settore. La necessità di tutelare gli investimenti del gestore uscente è stata ravvisata non solo dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, n. 138/2024), ma anche dallo stesso legislatore (art. 4, comma 2, lett. c) ed i), L. n. 118/22), che prescrive di tenere “in adeguata considerazione gli investimenti, il valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali” del compendio aziendale, seppur non spingendosi sino alla fissazione di criteri di quantificazione dell’indennizzo. Va peraltro considerato che, nel nostro ordinamento (ai sensi dell’art. 49 del Codice navigazione), le opere non amovibili (come scale di discesa al mare o edifici adibiti alla ristorazione) costruite su una spiaggia pubblica sono acquisite dallo Stato alla scadenza della concessione senza alcun indennizzo per il concessionario che le ha realizzate, salva la possibilità di prevedere diversamente all’atto della concessione.
Il Consiglio di Stato ha già sospeso alcune procedure di gara per l’affidamento delle concessioni che non prevedevano l’indennizzo al gestore uscente, ed ha domandato alla Corte di giustizia europea se un tale meccanismo sia compatibile con il diritto europeo. In attesa della decisione della Corte, si registrano le conclusioni dell’Avvocato generale (dell’8-02-2024, nella causa C-598/22), che ha ritenuto l’indennizzo compatibile con il diritto dell’Unione europea solo se “consente l’indennizzo qualora sia necessario per correggere uno squilibrio economico” – indennizzo che però va negoziato in anticipo (cioè all’atto della concessione) – ma nega qualsiasi indennizzo ulteriore al concessionario uscente, che “porterebbe alla discriminazione di nuovi concorrenti per la stessa area demaniale”.
Interessi legittimi dei potenziali concorrenti e possibili azioni
Del resto, ci sono infine da considerare gli interessi dei diversi imprenditori locali che vorrebbero subentrare nella gestione di uno stabilimento balneare e che sono quindi lesi dalle proroghe disposte dalle Amministrazioni locali. Sono infatti diversi i casi di cittadini, singoli o riuniti in Associazioni rappresentative dei loro interessi, che hanno presentato diffide ai Comuni avverso gli atti di proroga delle concessioni balneari. E se, davanti alla richiesta di un imprenditore locale di annullare i provvedimenti comunali che non avevano tenuto in debito conto la propria diffida, la giurisprudenza amministrativa ha riscontrato il difetto di legittimazione del ricorrente in quanto non “titolare di una posizione qualificata e differenziata” idonea a distinguerlo “dal resto della collettività” (T.A.R. Lecce, n. 881/2021), a diverse conclusioni si dovrebbe giungere se la richiesta pervenisse da un’Associazione rappresentativa, legittimata ad agire a tutela degli interessi legittimi collettivi della propria categoria (Cons. Stato, AP, n. 6/2020). Infine, tutti gli aspiranti concorrenti (singoli o Associazioni) potrebbero comunque invocare l’applicazione in via automatica della direttiva Bolkenstein.
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