Opinioni
Lo scambio di informazioni non può passare per la violazione del segreto professionale forense.
La Corte di Giustizia con la sentenza del 26 settembre 2024, resa nella causa C-432/2023, è tornata ad occuparsi del rapporto intercorrente tra lo scambio di informazioni tra Stati e Intermediari (tra i quali rientrano gli avvocati) e il segreto professionale.
Difatti, l’articolo 8 della CEDU e l’art. 7 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea prevedono entrambi il rispetto della vita privata e delle comunicazioni di ogni individuo, rispetto che ai sensi dell’art. 52 della Carta, può essere limitato solo laddove sussista un’effettiva esigenza di tutela di interessi generali riconosciuti dall’Unione o un effettiva esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
Il rapporto tra scambio di informazioni nei meccanismi fiscali transfrontalieri e segreto professionale è già stato oggetto della sentenza della Corte di Giustizia Europea dell’8 dicembre 2022 C-694/20, che aveva rilevato – alla luce dell’articolo 7 della Carta – l’incompatibilità dell’originaria formulazione dell’articolo 8-bis ter della Direttiva 2011/16/UE, introdotto nella Direttiva ad opera della DAC6, nella parte in cui obbligava gli avvocati che agivano in qualità di intermediari ad adempiere agli obblighi di comunicazione ivi previsti, in spregio del segreto professionale. A seguito di tale pronuncia l’articolo citato è stato modificato ed oggi prevede per gli avvocati intermediari, coperti dal segreto professionale, un “mero” dovere di trasporre la richiesta di informazioni ai propri clienti.
La Corte con la sentenza 432/23 in commento è tornata sul tema ribadendo che l’adempimento della normativa europea sullo scambio di informazioni non può passare per la violazione del segreto professionale forense.
I fatti oggetto della causa C-432/23
La vicenda oggetto della sentenza trae origine da una richiesta di scambio di informazioni, avanzata ai sensi della Direttiva 2011/16UE, dall’autorità fiscale lussemburghese (su istanza dell’autorità fiscale spagnola), a una società di avvocati, in merito a una consulenza societaria prestata in favore di una società spagnola.
La Società di avvocati aveva opposto un diniego a tale richiesta, sul presupposto che l’ottemperamento allo scambio di informazioni avrebbe comportato la lesione del segreto professionale (che in Lussemburgo non copre la rappresentanza e la consulenza fiscale se non in rarissimi casi).
Le autorità lussemburghesi, sul presupposto che tale segreto non poteva essere legittimamente opposto, avevano irrogato allo Studio di avvocati un provvedimento sanzionatorio, impugnato in sede giudiziale.
A seguito di un primo grado sfavorevole sia lo Studio di avvocati, sia l’ordine forense lussemburghese proponevano appello. Il Giudice di secondo grado, esaminati i fatti di causa, sospendeva il giudizio e sottoponeva alla Corte di Giustizia 6 domande pregiudiziali al fine di comprendere il corretto rapporto tra obblighi di informazione e rispetto del segreto professionale.
La rilevanza del segreto professionale forense in ambito europeo
Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia ha avuto modo, in primis, di sottolineare come la tutela specifica che l’articolo 7 della Carta e l’articolo 8, della CEDU conferiscono al segreto professionale degli avvocati, che si traduce anzitutto in obblighi a loro carico, è giustificata dal fatto che agli avvocati è affidato un compito fondamentale in una società democratica, ossia la difesa degli individui. Pertanto, come rilevato dall’Avv. Generale nella causa in commento “la specifica tutela del segreto dell’avvocato è dunque anche un corollario del principio dello Stato di diritto, sul quale l’Unione europea si fonda ai sensi dell’articolo 2 TUE“.
Tale compito fondamentale comporta, da un lato, l’esigenza, la cui importanza è riconosciuta in tutti gli Stati membri, di garantire a chiunque la possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato, e, dall’altro, quello, correlativo, di lealtà dell’avvocato nei confronti del proprio cliente. Tale garanzia, tuttavia, può essere attuata e valorizzata solo se coloro che consultano un avvocato possono ragionevolmente attendersi che le loro comunicazioni restino private e riservate.
Pertanto, a parte situazioni eccezionali, dette persone devono poter legittimamente confidare nel fatto che il loro avvocato non renda noto a nessuno, senza il loro consenso, che esse lo consultano.
All’interno del nostro ordinamento il segreto professionale forense è previsto e tutelato dagli artt. 6 della L. 247/2012 e 28 del Codice del Consiglio Nazionale Forense, che nel rispetto dei principi unionali prevedono come agli avvocati è consentito derogare al dovere di segretezza solo in specifici e limitatissimi casi, tra i quali, per quanto di interesse, vi è quello della “necessità di impedire la commissione di un reato di particolare gravità“.
La dichiarazione di compatibilità della Direttiva 2011/16/UE con il segreto professionale
Tra le domande pregiudiziali poste dalla Corte Lussemburghese vi era quella volta a verificare la validità delle disposizioni contenute nella Direttiva 2011/16/UE, rispetto alla tutela rafforzata del segreto professionale degli avvocati.
Sul punto, la Corte, ha specificato che la Direttiva non contiene alcuna disposizione che consenta espressamente ingerenze nella riservatezza delle comunicazioni tra gli avvocati e i loro clienti, anzi, proprio l’art. 17, par. 4 prevede che “La trasmissione di informazioni può essere rifiutata qualora comporti la divulgazione di un segreto commerciale, industriale o professionale, di un processo commerciale o di un’informazione la cui divulgazione sia contraria all’ordine pubblico“.
Inoltre, i doveri di scambio di informazione previsti dalla Direttiva incombono sugli stati, non essendoci alcun obbligo di dichiarazione posto a carico delle persone o degli operatori in possesso di informazioni.
Difatti, proprio nel rispetto del segreto professionale degli avvocati, il legislatore unionale è intervenuto modificando, come sopra esplicato, l’art. 8-bis ter inserito nella Direttiva ad opera della DAC6, che così come originariamente formulato non lasciava ai singoli Stati margini per un recepimento interno che potesse evitare la lesione di detto segreto professionale.
Il corretto quadro applicativo della Direttiva e i principi espressi dalla Corte di Giustizia
Se pertanto, come visto, la Direttiva vigente non presenta criticità in relazione alla tutela rafforzata del segreto professionale, ciò che deve essere oggetto di giudizio e che pertanto può essere illegittima, è la singola normativa interna di implementazione.
Sul punto, la Corte di Giustizia ha chiarito che, contrariamente a quanto previsto dalla legislazione lussemburghese, la consulenza legale gode, indipendentemente dal settore del diritto su cui verte, della tutela rafforzata garantita dagli articoli 7 della Carta e 8 della CEDU, alle comunicazioni tra avvocato e suo cliente.
Pertanto, detti articoli devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che escluda la consulenza fiscale dall’ambito della tutela rafforzata delle comunicazioni tra un avvocato e il suo cliente, cosicché una decisione (come quella oggetto del giudizio) che ingiunge a un avvocato di fornire all’amministrazione dello Stato membro interpellato, ai fini di uno scambio di informazioni su richiesta previsto dalla direttiva 2011/16, l’insieme della documentazione e delle informazioni relative ai suoi rapporti con il suo cliente, costituisce una illegittima ingerenza nel diritto al segreto professionale.
Di conseguenza, non sono incompatibili con il Diritto unionale tutte quelle prassi che fuori dagli eccezionali casi – che nel nostro ordinamento sono disciplinati dagli artt. 28 del Codice del Consiglio Nazionale Forense e 6 della L. 247/2012 – obbligano gli avvocati a fornire dettagli sulle consulenze fiscali prestate.
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