Opinioni
Per la CEDU la normativa italiana in tema di accessi e ispezioni è contraria alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e va riformata.
Il 6 febbraio 2025 la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) ha pronunciato una sentenza dalla portata potenzialmente dirompente.
La CEDU, infatti, dopo aver riunito davanti a sé ben 13 ricorsi nei quali i contribuenti denunciavano un’eccessiva, nonché ingiustificata, ingerenza da parte della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate durante le verifiche fiscali, ha ritenuto all’unanimità che le norme interne in materia di poteri degli uffici, accessi, ispezioni e verifiche violano l’art. 8 comma 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Convenzione) il quale prevede che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.
Circostanze comuni a tutti i ricorsi
Secondo i ricorrenti, la disciplina italiana (art. 35 L. n. 4/1929, 51 e 52 del d.P.R n. 633 del 1972, 32 e 33 del D.P.R n. 600 del 1973 e 12 L. 212/2000) sarebbe caratterizzata da un’eccessiva discrezionalità e dall’assenza di garanzie procedurali idonee alla tutela contro possibili abusi, mancando un controllo giudiziario (o un controllo da parte di un terzo soggetto indipendente) su tali attività sia ex ante, sia ex post.
L’Italia si è costituita nel giudizio eccependo l’assoluta legittimità della normativa interna sia perché delimiterebbe sufficientemente l’ambito del potere discrezionale conferito all’Amministrazione finanziaria sia perché, contrariamente a quanto rilevato dalle ricorrenti, prevederebbe anche dei controlli sia ex ante che ex post.
La decisione della Corte
Per la CEDU l’art. 8, comma 1, della Convenzione deve essere interpretato nel senso che include il diritto al rispetto della sede legale, delle filiali o di altri locali commerciali di una società, nonché il diritto al rispetto dei locali utilizzati per attività professionali e una sua compressione, può essere legittimamente posta in essere esclusivamente nei casi elencati al comma 2 del medesimo articolo 8, ossia quando tale limitazione “sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla prevenzione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui“.
Alla luce della sopra espressa interpretazione la Corte ha accolto le tesi dei contribuenti, rilevando due criticità nella disciplina interna italiana:
- l’eccessiva genericità;
- l’assenza di un controllo giurisdizionale adeguato sia ex ante che ex post, in grado di evitare abusi e arbitrarietà nell’attività istruttoria
In merito al punto sub. 1): la Corte specifica che deve essere indicato con chiarezza all’interno dell’ordinamento la portata della discrezionalità conferita alle autorità competenti nell’esercizio delle loro attività di verifica, e, sebbene essa puntualizzi che tali garanzie si applichino con minor rigore ai controlli fiscali effettuati in loco, precisa altresì che tali poteri non possano essere intesi come esercitabili illimitatamente in maniera discrezionale.
Sul punto la Corte ha rilevato che molte delle autorizzazioni rilasciate nei casi oggetto di scrutinio non includevano alcuna motivazione che giustificasse le misure effettuate e le modalità con la quale erano stati svolti gli accessi, ed ha inoltre affermato, che non risultava sufficientemente delimitato neanche il potere discrezionale conferito alle autorità fiscali, difettando in tal modo del requisito insito nell’art. 8 della Convenzione.
In merito al punto sub. 2): la Corte rileva che non risulta in alcun modo regolamentato il potere di controllo ex ante che le autorità fiscali o giudiziarie devono avere in merito al numero, alla durata e alla portata di tali accessi e ispezioni, nonché alle informazioni che possono essere richieste ai contribuenti. Inoltre, in relazione ai necessari rimedi esperibili ex post la CEDU evidenzia l’assenza nell’ordinamento interno di disposizioni che prevedano l’impugnazione tempestiva delle autorizzazioni ai controlli ed ex post dell’azione di controllo effettuata.
Nella specie, infatti, in merito al ricorso alla giurisdizione tributaria viene osservato che le eventuali autorizzazioni per accessi e ispezioni non possono essere impugnate di fronte ad alcuna autorità giudiziaria, dovendo i contribuenti attendere un eventuale atto impositivo impugnabile per eccepire eventuali vizi o sproporzioni.
Considerato che tale rimedio appare evidentemente solo potenziale e peraltro incerto (dovendo il contribuente attendere la notifica di un eventuale avviso di accertamento), per il Giudice di Strasburgo non equivale, come sostenuto dall’Italia, ad un effettivo rimedio giudiziario ex post efficace che giustifica la compressione del diritto al rispetto dei luoghi di lavoro dei contribuenti.
Similmente, sul possibile ricorso al tribunale ordinario invocato dall’Italia in sede di controdeduzioni, la Corte evidenzia come l’Italia non sia stata in grado di fornire casistiche giurisprudenziali aderenti al caso di specie, essendo quelle indicate riferite a casistiche in cui l’autorizzazione era stata rilasciata da un pubblico ministero in relazione a residenze private, richiedenti condizioni più rigorose.
Neppure il possibile ricorso al Garante del contribuente, ad avviso della Corte Edu, integrerebbe un rimedio efficace in tal senso potendo, il Garante disporre solo della facoltà di inviare mere raccomandazioni prive di vincolatività nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
In definitiva, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso che la disciplina italiana in tema di accessi e ispezioni viola l’art. 8 della Convenzione, ed ha condannato l’Italia a conformarsi ai principi espressi dal citato articolo così come interpretati dalla Corte.
Osservazioni
Tale intervento della CEDU, come anticipato, presenta una portata potenzialmente dirompente.
Lo stesso, infatti, non solo implica l’obbligo a carico del legislatore italiano, previsto dall’ art. 46, comma 1 della Convenzione, di riformare la disciplina degli accessi, ispezioni e verifiche mediante l’inserimento di una nuova disciplina interna, ma potrebbe avere un impatto, medio tempore, anche sui giudizi in corso e su quelli istaurandi, incidendo nelle decisioni che adotteranno in merito i Giudici.
Ciò è tanto vero che, con la recentissima ordinanza interlocutoria n. 11910/2025, la Corte di Cassazione, nell’ambito di un giudizio nel quale è stata invocata la violazione degli articoli 7-ter e 7-quinquies L. 212/2000 di un avviso di accertamento, in conseguenza di violazioni commesse nell’ambito dell’attività di verifica accesso e ispezione, aventi ad oggetto l’illegittima raccolta di documentazioni e informazioni richieste ai contribuenti – ha rinviato la causa, assegnando 60 giorni alle parti e al pubblico ministero per presentare osservazioni scritte sulla rilevanza della sentenza della Corte EDU nel giudizio.
Ciò evidenzia come l’accertamento operato dalla CEDU con la sentenza del 6 febbraio 2025 potrebbe, quindi, avere un concreto impatto sui giudizi pendenti o che verranno promossi nelle more della pronuncia, con possibile declaratoria di nullità a titolo originario dell’intera attività accertativa. Del resto, il Giudice nazionale rappresenta ex artt. 13 e 35 CEDU il primo garante dell’applicazione della Convenzione, essendo questa una fonte sub-costituzionale (vd. le “sentenze gemelle” nn. 348 e 349 del 2007).
Il tutto tenendo presente la materia oggetto del contendere e, nello specifico, se si tratti di tributi armonizzati (ad es. l’Iva) o non armonizzati.
Nel primo caso, infatti, gli effetti della sentenza CEDU potrebbero essere più stringenti e cogenti per il giudice tributario. In proposito, il diritto unionale rappresenta il parametro di valutazione per il Giudice nazionale e, quindi, nel caso specifico, la normativa interna di interesse potrebbe essere disapplicata ex artt. 7 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea recanti, rispettivamente, la disciplina in merito al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio e al diritto ad un ricorso effettivo; alternativamente potrebbe essere sollevata la questione di pregiudizialità unionale ex art. 267, comma 3, TFUE.
D’altro lato, per i tributi non armonizzati, la questione potrebbe comunque avere una incidenza nell’ambito processuale, in quanto potrebbe essere sollevata la questione di illegittimità costituzionale delle normative interne alla luce del contenuto degli artt. 14 e 117, comma 1 della Costituzione, in relazione all’art. 8 CEDU.
Ciò posto, al fine di garantire la certezza del diritto e del processo, non solo in relazione alle posizioni future, ma anche a quelle attualmente aperte, si rende evidente l’urgente necessità che il legislatore italiano ottemperi alle indicazioni della CEDU riformando la normativa in tema di poteri degli uffici fiscali, accessi, ispezioni e verifichi. Ciò tenendo conto dei principi statuiti dalla CEDU e che si possono così sintetizzare:
- l’autorizzazione delle attività di verifica, ispezione e controllo proveniente da un terzo soggetto indipendente o da un’autorità giurisdizionale adibita a tale valutazione;
- la possibilità di impugnare tale autorizzazione per il contribuente senza dover necessariamente attendere un avviso di accertamento;
- un quadro normativo interno che indichi chiaramente le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali, procedere a verifiche in loco e a controlli fiscali nei locali commerciali e nei locali adibiti ad attività professionali;
- Il diritto del contribuente ad essere informato dei motivi che giustificano l’intervento di tali misure e tutte le conseguenze del caso.
Devesi aggiungere che l’interpretazione conforme alla CEDU riguardo il contenuto delle disposizioni censurate si discosta in modo sostanziale dai precedenti orientamenti della Suprema Corte, la più autorevole dottrina non senza motivo pone dei dubbi sulle future valutazioni di questa rispetto alla Sentenza “Italgomme”, passibile di poter provocare un danno non indifferente alle casse erariali per via dei motivi poc’anzi esposti in epigrafe, l’esito di questa vicenda giurisprudenziale non è scontato.
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