Opinioni
Proroga Covid dei termini decadenziali di accertamento – La Corte di Cassazione ne conferma l’applicabilità “a cascata”.
Con il decreto 1630 del 23 gennaio 2025 il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i rinvii pregiudiziali sollevati dalle Corti di Giustizia Tributaria di Gorizia (in relazione ai tributi erariali) e Lecce (in relazione ai tributi locali), in relazione all’applicabilità c.d. “a cascata” della proroga Covid dei termini decadenziali di accertamento (sul punto si richiama il nostro Alert del 6 maggio 2020 “Proroga biennale dei termini per la riscossione confermata in sede di conversione del decreto Cura Italia. La ratio?“).
Tale decreto si inserisce al culmine di un acceso dibattito giurisprudenziale, già oggetto del nostro precedente Alert “Anche per il Giudice di appello la proroga COVID di 85 giorni per gli accertamenti tributari non è applicabile alle annualità i cui termini non scadevano nel 2020” del 2 ottobre 2024, venutosi a creare dinanzi le Corti di merito e che, fino ad oggi, aveva visto i Contribuenti trionfare in diversi giudizi.
La disciplina COVID in tema di accertamento
In tema di termini di accertamento, il Governo ha emesso:
- prima il L. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia), con il quale ai sensi dell’art. 67 ha disposto per l’Agenzia delle Entrate e per altri enti impositori la sospensione dall’8 marzo al 31 maggio 2020 (85 giorni) dei termini relativi alle attività di liquidazione, controllo, accertamento, riscossione, interpello, adempimento collaborativo, procedure di collaborazione e cooperazione rafforzata, accordi preventivi, patent box, accessi ad Anagrafe Tributaria e altri accessi;
- successivamente il L. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) con il quale ai sensi dell’art. 157 ha previsto che gli atti di accertamento in scadenza tra l’8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020 dovevano essere emessi e sottoscritti dal funzionario competente, entro il 31 dicembre 2020 ma notificati tra il 1° marzo 2021 e il 28 febbraio 2022.
L’Agenzia delle Entrate basandosi sul dispositivo della prima norma che prevedeva di fatto una proroga di 85 giorni dei termini di accertamento che stavano decorrendo alla data dell’8 marzo 2020, riteneva tale proroga applicabile a tutti gli accertamenti i cui termini erano ancora pendenti all’8 marzo 2020 (relativi, ad esempio, agli accertamenti per gli anni d’imposta 2016, 2017, 2018), con un effetto c.d. a cascata. Così, ad esempio, l’accertamento relativo all’infedele dichiarazione 2018 (MODELLO REDDITI 2019), poteva essere emesso entro il 25 marzo 2025, in luogo del 31 dicembre 2024.
I Contribuenti, invece, basandosi sul dispositivo della seconda e successiva norma, ritenevano che la proroga dei termini decadenziali non fosse applicabile neanche agli atti in scadenza nel 2020 (in linea generale le cartelle ex art. 36-bis relative alla dichiarazione 2017, a.i. 2016), in quanto con la nuova disposizione normativa erano stati differiti solo i termini di notifica degli atti in questione, che dunque avrebbero dovuto essere comunque emessi entro il 31 dicembre 2020.
I rinvii pregiudiziali e la decisione della Suprema Corte di Cassazione
Come anticipato in premessa, le Corti di Giustizia Tributaria di primo grado di Gorizia (del 13 novembre 2024 in tema di tributi erariali) e di Lecce (del 19 novembre 2024 in tema di tributi locali) avevano sollevato ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c. rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione per conoscere la corretta interpretazione dell’art. 67 del D.L. 18/2020.
Nel nostro ordinamento, difatti, è consentito alle Corti di merito di effettuare il rinvio pregiudiziale quando:
- la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di Cassazione;
- la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
- la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi”.
Sul punto, con il Decreto in commento la Suprema Corte ha dichiarato inammissibili entrambi i rinvii pregiudiziali poiché, successivamente alla pubblicazione delle ordinanze di rimessione, la questione pregiudiziale sarebbe stata affrontata e risolta dalla Prima sezione della Cassazione (non tributaria), con l’Ordinanza 960/2025 del 15 gennaio 2025.
Con la pronuncia sopracitata la Prima sezione ha accolto le tesi dell’Amministrazione finanziaria secondo le quali la sospensione di 85 opererebbe per tutti gli accertamenti i cui termini erano ancora pendenti all’8 marzo 2020, con un effetto c.d. a cascata e quindi, in sintesi, alle rettifiche di tutte le dichiarazioni accertabili in tal periodo (relative, ad esempio, agli anni d’imposta 2015, 2016, 2017, 2018).
Più nello specifico, nell’accogliere le tesi dell’Erario la Suprema Corte ha valorizzato il richiamo che il quarto comma dell’art. 67 fa all’art. 12, co. 1, del D.Lgs. 159/2015, norma di carattere generale presente nel nostro ordinamento, la quale stabilisce che le disposizioni in materia di sospensione dei termini di versamento dei tributi, a favore dei soggetti interessati da eventi eccezionali, comportano altresì, per un corrispondente periodo di tempo, relativamente alle stesse entrate, la sospensione dei termini previsti per gli adempimenti anche processuali, nonché la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori; richiamo non superato o diversamente disciplinato da parte dell’art. 157 sopracitato.
Il Decreto del Primo Presidente della Cassazione benché si sia “limitato” a dichiarare l’inammissibilità dei rinvii pregiudiziali ha, invero, risvolti concreti e immediati sui giudizi pendenti in quanto l’eccezione di decadenza dal potere accertativo da parte degli Uffici che hanno notificando gli atti impositivi beneficiando della proroga di 85 giorni è stata sollevata in numerosi contenziosi in corso tra Amministrazione e contribuenti, questione che ora, con ogni probabilità, sarà destinata ad essere rigettata da parte delle Corti di merito, le quali sino ad oggi, invece, avevano emesso numerose sentenze a favore dei contribuenti.
Commento e criticità
Una prima evidente criticità risiede nel fatto che il Decreto 1630/2025 emesso dal Primo presidente non sembra tenere presente che la vicenda affrontata nella citata Ordinanza della Prima sezione, sulla base della quale sono state rigettati i rinvii pregiudiziali delle due Corti di merito, concerneva i termini prescrizionali e non di decadenza. Più nello specifico, la vicenda concerneva un’insinuazione al passivo fallimentare da parte dell’Agente della Riscossione rispetto a un credito che veniva ritenuto prescritto a causa della paventata inapplicabilità della normativa emergenziale. Le questioni oggetto di rinvio, invece, concernevano la decadenza di atti accertativi emessi da Enti creditori (Agenzia delle Entrate e Comuni).
A prescindere da quanto sopra rilevato, l’interpretazione avallata dalla Cassazione, benché ovviamente agganciata ad un substrato di diritto (il richiamo al citato art. 12 del D.Lgs. 159/2015), appare comunque censurabile sotto il profilo logico-giuridico, giacché avalla una tesi secondo la quale il Legislatore avrebbe, al contempo, da un lato imposto il rispetto del termine decadenziale in scadenza il 31 dicembre 2020, ossia nell’anno più colpito dalla pandemia e dove gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria scontavano l’obbligo di uno smart working non preventivato e del tutto improvviso, con evidenti riverberi sulla gestione degli accertamenti in scadenza e, viceversa, lo avrebbe prorogato di 85 giorni per gli accertamenti il cui termine decadenziale spirava negli anni successivi, ossia quando l’emergenza era stata ormai superata.
Tale illogicità è tanto più manifesta se si considera che l’elevato numero di decisioni di merito favorevoli ai contribuenti avevano indotto l’Agenzia delle Entrate a emettere, a inizio 2024, una direttiva interna che, pur ribadendo la correttezza dell’interpretazione erariale che ammetteva la proroga dei termini a cascata, invitava gli Uffici a non tenerne conto, notificando gli accertamenti nei termini ordinari di decadenza.
Per completezza si segnala, infine, che la proroga in parola non si applica comunque a tutte le dichiarazioni presentate successivamente al 31 maggio 2020 (termine della sospensione) e quindi verosimilmente a partire dalle dichiarazioni dell’anno d’imposta 2019 in poi.
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