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Regime degli Impatriati: l’Agenzia non può introdurre con documenti di prassi ulteriori requisiti.

Con la recente sentenza n. 2872/17/2023, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia ribadisce il principio secondo il quale in tema di agevolazioni (nel caso di specie regime degli impatriati) è preclusa all’amministrazione finanziaria la facoltà di introdurre requisiti ultronei rispetto a quelli normativamente previsti.

Il regime degli Impatriati

L’art. 16 del D.Lgs. 147/2015 stabilisce un regime di tassazione agevolata (non cumulabile con altre agevolazioni) per i lavoratori “impatriati”, prevedendo che “I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Statoconcorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare (l’agevolazione è estesa con esenzione del 90% per i soggetti che trasferiscono la residenza civilistica in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia), al ricorrere delle seguenti condizioni:

  • I lavoratori non devono essere stati residenti in Italia nei 2 periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento;
  • I soggetti si impegnano a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
  • L’attività lavorativa deve essere prestata prevalentemente nel territorio italiano.

Inoltre, l’agevolazione spetta anche i) ai lavoratori che avviano un’attività d’impresa in Italia (il reddito d’impresa agevolabile è unicamente quello dell’imprenditore individuale) e ii) ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia dal 1° gennaio 2020, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi nei 2 periodi d’imposta antecedenti il trasferimento.

L’agevolazione è applicabile per 5 periodi d’imposta (rinnovabili per altri 5 al ricorrere di alcune condizioni), decorrenti dall’anno di trasferimento della residenza fiscale in Italia.

Per beneficiare del regime fiscale agevolato ai sensi del co. 4 dell’art. 16 e del Provvedimento Agenzia Entrate n. 64188/2017:

  • i titolari di reddito di lavoro dipendente: devono presentare una richiesta scritta al datore di lavoro, il quale applica il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta; ovvero, se il datore di lavoro non ha potuto riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne direttamente nella dichiarazione dei redditi.
  • i titolari di reddito di lavoro autonomo: possono accedere al regime agevolato direttamente nella dichiarazione dei redditi. In alternativa, possono fruire del beneficio in sede di applicazione, da parte del committente, della ritenuta d’acconto sui compensi percepiti; a tal fine, devono presentare una richiesta scritta. Il committente, all’atto del pagamento del corrispettivo, opera la ritenuta del 20% sull’imponibile ridotto in base a quanto previsto dalla disciplina agevolativa.

I documenti di prassi emessi dall’Agenzia delle Entrate e l’illegittima interpretazione estensiva della norma

A partire dalla Circolare 17/E del 23 maggio 2017 l’Agenzia delle Entrate ha emesso una serie di documenti di prassi riguardanti l’applicazione della normativa.

In particolare, con la Circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che “nelle ipotesi in cui l’impatriato non abbia formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro nel periodo di imposta in cui è avvenuto il rimpatrio, né ne abbia dato evidenza nelle relative dichiarazioni dei redditi, i cui termini di presentazione risultano scaduti, per detti periodi di imposta, l’accesso al regime è da considerarsi precluso. Al riguardo, si fa presente che per «termine di presentazione» si intende quello ordinario di presentazione del Modello Redditi Persone Fisiche. Nelle ipotesi in cui il contribuente non si sia avvalso dell’agevolazione al momento della presentazione della dichiarazione, ad esempio nel Modello 730 presentato nei termini, potrà avvalersene presentando nei termini ordinari il Modello Redditi Persone Fisiche (c.d. “correttiva nei termini”). Si considerano, inoltre, valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, salva l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo (c.d. “dichiarazioni tardive”) […] Trattandosi di un regime opzionale, è preclusa la possibilità di presentare una dichiarazione dei redditi c.d. “integrativa a favore” oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza ordinaria […] resta comunque ferma la possibilità per il contribuente di fruire del regime in esame per i restanti periodi di imposta del quinquennio agevolabile.

Dall’analisi del citato documento di prassi risulta evidente come l’Agenzia, in caso di “dimenticanza” da parte del lavoratore, consideri non più agevolabili i periodi d’imposta per i quali non è stata esercitata l’opzione, nonostante il ricorrere di tutti i presupposti.

La sentenza 2872/2023 della CGT2 Lombardia

Proprio su tale punto si inserisce la sentenza della Corte di Giustizia Regionale in commento, la quale nel dichiarare illegittime le posizioni del Fisco stabilisce che, considerato che né la norma, né le disposizioni attuative prevedono alcuna preclusione in caso di omissione della richiesta scritta o dell’esercizio dell’agevolazione in dichiarazione, l’Agenzia delle Entrate non può, con propri documenti di prassi, introdurre decadenze.

Difatti, secondo la motivazione fornita dal Collegio giudicante, le Circolari emesse dall’Amministrazione finanziaria sono “il mezzo giuridico per chiarire il significato delle norme di legge e non già per introdurne di nuove“.

Di conseguenza, in caso di “dimenticanza” del contribuente che ha omesso sia di presentare una richiesta scritta al datore di lavoro, sia di esercitare l’agevolazione nella dichiarazione, l’Agenzia delle Entrate deve riconoscere l’agevolazione, non solo per i periodi di imposta residui, ma anche per quelli per i quali l’opzione non è stata esercitata tempestivamente (purché ovviamente ricorrano tutti i requisiti previsti dal Regime).

È pertanto concessa facoltà ai contribuenti di presentare istanza di rimborso negli ordinari termini decadenziali di cui all’art. 38 del D.P.R. 602/1973 (quarantotto mesi dalla data del versamento).

Le ulteriori criticità

Oltre quanto sopra, si evidenzia che con i propri documenti di prassi l’Agenzia non si è limitata a prevedere un’illegittima decadenza per i periodi d’imposta per i quali non si è esercitata tempestivamente l’opzione, ma richiede la sussistenza di un collegamento funzionale tra il rientro in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa che non è previsto dalla normativa.

Tale requisito è stato affermato in primis nella citata Circolare 17/E del 2017 e poi ripreso sia nella risposta a Interpello n. 59/2020, che nella nota Circolare 33/E del 13 febbraio 2020.

Anche in questo caso, la giurisprudenza delle Corti Tributarie ha dichiarato l’illegittimità di tali posizioni, rilevando che la norma non prescrive “alcun periodo temporale minimo che debba intercorrere tra la data di trasferimento in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa; neppure richiede una disamina dei motivi soggettivi che avrebbero indotto il contribuente a trasferirsi in Italia” (cfr. CGT Milano, sentenza n. 2587/10/2023).

Si auspica che l’Agenzia delle Entrate si conformi al principio espresso dalle Corti di Giustizia Tributaria quando la stessa si troverà a fornire chiarimenti sul regime degli impatriati che sarà a breve riformato dallo Schema di decreto legislativo in materia di fiscalità internazionale recante attuazione della delega fiscale (L. 111/2023), omettendo di introdurre requisiti e vincoli non previsti e non voluti dal Legislatore.

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