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Il rimborso dell’IRBA è dovuto anche per le annualità precedenti al 2021

La Suprema Corte di Cassazione con le sentenze 6858/2023 e 6687/2023 ha finalmente riconosciuto l’incompatibilità dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (IRBA) con l’ordinamento unionale, affermando al contempo il diritto dei consumatori a richiederne il rimborso anche per le annualità precedenti alla sua abrogazione da parte del Legislatore (ovvero per gli anni d’imposta precedenti al 2021).

 

La Normativa nazionale ed europea

L’Imposta Regionale sulla Benzina per Autotrazione (c.d. IRBA) è stata istituita con l’art. 17 del D.Lgs. 398/1990, è una imposta indiretta non armonizzata propria delle Regioni e diretta ad assicurare il finanziamento degli enti locali.

Colpendo i consumi ed essendo in grado di alterare il corretto funzionamento del mercato unico, creando delle distorsioni alla libera concorrenza, l’IRBA soggiace alle disposizioni eurocomunitarie, trovando applicazione la direttiva n. 2008/118/Ce, che ha previsto la possibilità per gli Stati membri di applicare ai prodotti già sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme comunitarie applicabili per le accise o per l’Iva in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta.

Proprio in relazione all’IRBA la Corte di Giustizia Europea con la sentenza C-255/20 del 9 novembre 2021 ha chiarito che i prodotti energetici possono essere gravati da tributi ulteriori purché il relativo gettito sia vincolato ab origine ad una finalità specifica.

In particolare con tale pronuncia la Corte europea ha affermato che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, relativa al regime generale delle accise, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che istituisce un’imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che non si può ritenere che tale imposta abbia una «finalità specifica» ai sensi di tale disposizione, essendo il suo gettito inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti territoriali.

 

L’Abrogazione dell’Imposta ad opera del Legislatore

Proprio in ragione dell’intervento giurisprudenziale comunitario, preceduto peraltro nel 2019 da un Parere motivato inviato dalla Commissione Europea, il Legislatore nazionale con l’art. 1, co. 628, della L. 178/2020 (c.d. Legge di Bilancio 2021), ha soppresso l’IRBA a decorrere dal 1° gennaio 2021.

Tuttavia, come confermato anche dalla Nota dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli n. 24479 del 22 gennaio 2021, il Legislatore ha voluto far “salvi” gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte.

In altri termini, nonostante il tributo sia stato istituito da una norma adottata in contrasto con il diritto dell’Unione europea, con l’articolo della Legge di Bilancio 2021 in commento il Legislatore ha inteso preservare e circoscrivere nel tempo la legittimità dell’IRBA, prevedendo che essa dia diritto al rimborso solo per quelle obbligazioni sorte a partire dal 1° gennaio 2021.

Come era prevedibile tale norma ha scatenato un contenzioso giurisprudenziale che ha visto il suo culmine proprio nelle sentenze della Corte di Cassazione citate.

 

Le pronunce della Suprema Corte di Cassazione

Con le citate sentenze 6687/2023 e 6858/2023 la Suprema Corte di Cassazione, oltre a ribadire l’illegittimità dell’imposta per l’assenza di una finalità specifica, ha inoltre riconosciuto la totale illegittimità del comportamento del Legislatore e, rammentando come:

  1. il dictum della Corte di Giustizia costituisce una regula iuris applicabile dal giudice nazionale in ogni stato e grado di giudizio;
  2. l’interpretazione di una norma di diritto comunitario data dalla Corte di Giustizia può e deve essere applicata dal giudice anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa;
  3. il diritto comunitario così come interpretato dalla Corte suddetta, può essere applicato ad ogni rapporto giuridico già sorto, purché non esaurito; ha stabilito che, contrariamente a quanto voluto dal Legislatore, i contribuenti hanno il diritto di richiedere il rimborso dell’IRBA assolta anche in relazione alle annualità precedenti al 2021.

 

Criticità

Nonostante come visto la Suprema Corte di Cassazione ha finalmente riconosciuto, in un’ottica estensiva rispetto a quanto previsto dal Legislatore, il diritto dei contribuenti a richiederne il rimborso anche per le annualità precedenti al 2021, alcune Corti di merito, come quella di Primo Grado di Torino (sentenza n. 367 del 17 maggio 2023) stanno negando tale diritto nel peculiare caso in cui il soggetto passivo abbia, secondo loro, traslato l’onere impositivo sul consumatore finale. Nel caso soprarichiamato la Corte torinese ha rigettato la domanda del consumatore sull’assunto che il riconoscimento di un eventuale rimborso comporterebbe un indebito arricchimento, essendo in tal caso il consumatore il soggetto legittimato a richiedere il rimborso.

Tale impostazione che, prima facie, sembrerebbe conforme al dettato dell’art. 29 della L. 248/1990, rubricato proprio “Rimborso dei tributi riconosciuti incompatibili con norme comunitarie“, che stabilisce come le somme illegittimamente pagate sono rimborsate “a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti“, in realtà contrasta sia con la corretta interpretazione della norma che con gli insegnamenti del Giudice di Legittimità.

Difatti, come riconosciuto dalla Corte Suprema di Cassazione, occorre verificare se quello che è stato traslato sul consumatore è il tributo, ovvero, unicamente una maggiorazione del prezzo, seppur collegata alla sopportazione del primo da parte del venditore.

Ebbene, con l’Ordinanza n. 29980, depositata il 19 novembre 2019, emessa in merito ai dazi sull’energia, gli Ermellini hanno stabilito rilevato che “l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, di guisa che soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto; quanto al consumatore, l’onere corrispondente all’imposta è su di lui traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico. Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge soltanto tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l’utente consumatore. Come è stato efficacemente rilevato, «í due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico» […] Si tratta di rapporti che, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro e soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’Amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa“.

Con l’ordinanza in parola il Giudice di Legittimità ha inoltre specificato come il consumatore che si è visto addebitare un maggior costo in virtù di un tributo poi dichiarato illegittimo potrà, nel caso, esperire “nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica“. Questa osservazione fa ipotizzare che la questione IRBA potrebbe innescare addirittura un duplice contezioso di rimborso: uno da parte dei soggetti passivi IRBA nei confronti degli enti impositori (Regioni) e l’altro da parte dei consumatori acquirenti del carburante nei confronti dei soggetti passivi IRBA.

A prescindere da tale errata interpretazione dell’art. 29 della L. 248/1990 da parte di alcune Corti di merito, appare manifesta l’importanza delle sentenze della Suprema Corte oggetto del presente Alert, le quali hanno finalmente e definitivamente riconosciuto l’illegittimità del comportamento del Legislatore italiano che ha provato in tutti i modi a salvare, per meri scopi bilancistici, un tributo dichiarato a più riprese illegittimo.

 

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