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L’assemblea in via esclusivamente telematica: dagli atomi ai bit

Per consentire lo svolgimento delle assemblee societarie, nonostante la situazione di emergenza causata dal virus COVID 19, l’art. 106, comma 2, del decreto-legge 18 del 17 marzo 2020 (c.d. “Cura Italia”) ha stabilito – tra l’altro – che le stesse possano svolgersi “in via telematica”, e finanche “esclusivamente” in via telematica. Si è parlato al riguardo di assemblee “a porte chiuse”, ma la disposizione emergenziale sembrerebbe consentire anche qualcosa di più di una riunione fisica a porte chiuse …

La norma emergenziale intende infatti conciliare l’esigenza delle società di deliberare con l’intento dichiarato “di contrastare e contenere la diffusione del virus COVID-19”, evitando il contagio anche attraverso “il divieto di assembramento” delle persone e sue ulteriori declinazioni (v. art. 1, lett. l DL 25 marzo 2020; v. anche DPCM 1 aprile 2020 di proroga dell’efficacia delle misure), donde, propiziato dalla norma è proprio lo svolgimento delle assemblee a prescindere da una riunione fisica, a porte aperte o chiuse che siano, e dunque in modalità alternativa a quella fisica o, se si preferisce, virtual only.

Ma si tratta davvero di una possibilità esperibile nell’emergenza dalle società italiane, e per di più esperibile anche in via esclusiva?

La norma emergenziale non autorizza le società ad introdurre nuovi o eccezionali strumenti di partecipazione a distanza alle assemblee, ma soltanto a scegliere tra quelli già conosciuti dal diritto comune (v. per es. art. 2370, co. 4, c.c.), la cui applicazione è subordinata alla presenza di una clausola statutaria (c.d. opt in), clausola di cui si consente oggi di fare a meno, nel superiore intento di tutelare la salute pubblica rimettendo la scelta al solo avviso di convocazione.

Ne discende che un’assemblea in modalità puramente telematica o, per così dire, “dematerializzata” sarebbe compatibile oggi con il diritto dell’emergenza Coronavirus, solo a condizione che lo fosse già col diritto generale delle società, in presenza della clausola statutaria.

Ed invero non avrei soverchi dubbi che si tratti di una soluzione già esperibile nel diritto ante-Coronavirus.

I pretesi ostacoli che, per diritto scritto, risiederebbero nell’art. 2363 cc, in tema di luogo della assemblea, e nell’art. 2375, c.c., in tema di verbale, non ostano infatti a tale soluzione, da un lato perché sono contraddetti da ben altri indizi, di maggior peso, contenuti nella disciplina del procedimento assembleare; dall’altro lato perché si tratta di due disposizioni che devono essere interpretate alla luce dello sviluppo tecnologico e del contesto infrastrutturale nel quale si svolge il procedimento (si pensi alla presenza di reti a larga banda, che rende veloce l’accesso alla rete).

Non vi osta infatti l’art. 2363 c.c., nel senso che non sarebbe necessario convocare un’assemblea fisica da tenersi in un luogo fisico, da individuarsi nel comune dove ha sede la società o in luogo diverso indicato dallo statuto, dove si trovino il presidente e il soggetto verbalizzante (segretario o notaio) e cui ci si debba collegare tutti in via telematica, l’assemblea in via esclusivamente telematica ben potendo essere per così dire “dematerializzata” o “delocalizzata”, in quanto svolta esclusivamente tramite partecipazione in remoto, donde sarebbe sufficiente indicare – prima, nello statuto (art. 2363 c.c.) e, poi, nell’avviso di convocazione (art. 2366 c.c.) – un non luogo (es. piattaforma Internet) al quale tutti i partecipanti al procedimento si debbano collegare via Internet. La mancata indicazione di un luogo fisico non pregiudica, infatti, la valida costituzione dell’assemblea, quando questa dovesse essere, casualmente, totalitaria (art. 2366 co. 4 cc.); donde non la pregiudica nemmeno – ed a fortiori – quando questa è, programmaticamente, prescelta con decisione totalitaria, e cioè all’unanimità nell’atto costitutivo, o in seguito a modifica statutaria (all’unanimità o a maggioranza) dello stesso purché seguita dalla rinuncia di tutti i soci al diritto di partecipare in praesentia, come è in re ipsa in ipotesi di assemblea totalitaria. Con tale accorgimento, mi pare dunque ben possibile, già nel diritto societario ante-Coronavirus, individuare quale luogo dell’assemblea un luogo diverso da quello fisico, un luogo appunto virtuale, di quelli che rendono possibile lo svolgimento dell’assemblea in via esclusivamente telematica, collocandola in una sorta di “luogo geometrico”, dove si connettono tutti coloro che prendono parte al procedimento.

Né vi osta l’art. 2375 c.c., là dove stabilisce che il verbale è “sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio”, perché la disposizione è da intendersi come riferita al solo verbale contestuale, e non anche a quello redatto successivamente, che è sottoscritto dal solo notaio o dal segretario e con sottoscrizione differita del presidente, ove i mezzi di telecomunicazione utilizzati consentano al soggetto verbalizzante di imputare le dichiarazioni del presidente a quest’ultimo, la necessità che il verbale sia redatto da soggetto personalmente presente alla riunione assembleare non togliendo, infatti, che possa trattarsi di una presenza in via telematica, capace di garantire anche in remoto la piena percezione dei lavori assembleari.

Lo conferma ora l’art. 106, al comma 2, là dove richiede, per lo svolgimento dell’assemblea “esclusivamente” mediante mezzi di telecomunicazione, la condizione che tali mezzi “garantiscano l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto (…) senza in ogni caso la necessità che si trovino nel medesimo luogo, ove previsti, il presidente, il segretario o il notaio, chiarendo così che – in presenza della condizione suddetta – presidente e segretario (o notaio), ben possano trovarsi fisicamente in luoghi diversi. La disposizione è intesa infatti a propiziare la partecipazione in remoto di entrambi, fugando ogni dubbio in ordine al fatto che il luogo ben potrebbe essere anche soltanto virtuale; e ciò in linea con quanto già ricavabile dal diritto previgente e rispecchiato nella stessa Massima n. 187 del CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO dell’11 marzo 2020, anteriormente al d.l. n. 18 del 17 marzo.

Il luogo di svolgimento della riunione sarà quindi il non luogo (indirizzo Internet) al quale lo stesso verbalizzante – al pari di tutti gli altri partecipanti – si collega (e non quello dove fisicamente si trova), fermo restando che il luogo fisico indicato nel verbale sarà quello che identifica univocamente l’ufficio del soggetto verbalizzante.

La circostanza che i mezzi di telecomunicazione debbano garantire l’identificazione dei partecipanti che intervengono telematicamente (questa essendo la condizione perché l’assemblea possa essere tenuta “esclusivamente” in via telematica) comporta che il notaio debba (non già accertare l’identità delle persone che intervengono telematicamente bensì) limitarsi ad identificare il presidente e constatare l’avvenuta “identificazione dei partecipanti” da parte del presidente, in quanto collegati in via telematica (video conferenza o altro) o rappresentanti da soggetti collegati in via telematica.

L’eccezionalità della norma emergenziale, di cui al secondo comma dell’art. 106, non sta insomma nella possibilità di svolgere, nel vigore dello stato di emergenza da virus COVID-19, un’assemblea in via esclusivamente telematica o “dematerializzata” o “delocalizzata”, ma soltanto nel farlo per scelta degli amministratori con l’avviso di convocazione, anziché per scelta – totalitaria o statutaria – di tutti i soci.

 

 

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Prof. Avv. Laura Schiuma, Of Counsel
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