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Il finanziamento dell’impresa in crisi nel contesto emergenziale della pandemia

L’attuale contesto emergenziale provocato dalla pandemia di COVID-19 ha dato luogo ad un enorme problema di conservazione della continuità aziendale per moltissime imprese, con potenziali effetti “domino” sulle varie filiere di una scala senza precedenti nella storia recente. Le misure emergenziali messe in campo attraverso la decretazione d’urgenza di questi mesi hanno riguardato diversi aspetti di possibile rilevanza per la continuità aziendale e, tra questi, quello del finanziamento all’impresa in crisi ha un posto di particolare rilievo anche nel dibattito pubblico.

In base al decreto-legge n. 23 dell’8 aprile 2020 (il “Decreto Liquidità”), che ha rinviato di un anno l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019 (il “Codice della crisi di impresa”), il quadro normativo di riferimento per il finanziamento dell’impresa in crisi è rimasto invariato. In particolare, il Codice della crisi di impresa aveva operato una riorganizzazione delle tipologie di finanziamento previste dalla legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, di seguito la “Legge Fallimentare”), che ora rimarrà congelata fino al 1° settembre 2021.

Le tipologie di intervento finanziario nei confronti dell’impresa in crisi rimarranno fino ad allora pertanto quelle previste dalla Legge Fallimentare ed in particolare:

  • la finanza ponte ai sensi dell’articolo 182-quater, comma secondo della Legge Fallimentare;
  • la finanza interinale attestata ai sensi dell’articolo 182-quinquies comma primo della Legge Fallimentare;
  • la finanza interinale urgente ai sensi dell’articolo 182-quinquies, comma terzo della Legge Fallimentare;
  • i finanziamenti in corso di procedura ai sensi dell’articolo 167 della Legge Fallimentare;
  • i finanziamenti in esecuzione di piano (concordatario o sotteso all’accordo di ristrutturazione dei debiti) o al Concordato ai sensi dell’articolo 182-quater, comma primo della Legge Fallimentare;
  • i finanziamenti soci ai sensi dell’articolo 182-quater, comma terzo della Legge Fallimentare.

Tutte queste tipologie di finanziamento godono del beneficio della prededucibilità, sebbene per talune di esse tale beneficio sia di dubbia effettività. In particolare, con riferimento alla finanza ponte – ovvero quella finalizzata sostenere i costi necessari alla continuità aziendale prima ed in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti – la prededucibilità dei finanziamenti è condizionata all’omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o all’espresso riconoscimento della prededuzione da parte del tribunale, nel provvedimento di accoglimento della domanda di ammissione al concordato preventivo, ovvero circostanze verificabili a posteriori sulla base di eventi futuri ed incerti, tali da non dare sicurezza ai finanziatori in ordine all’effettività del beneficio.

Di particolare significato, nell’attuale contesto pandemico, è il finanziamento della continuità aziendale nella fase prenotativa di concordati e accordi di ristrutturazione del debito, anche alla luce della possibilità, per i debitori per i quali i termini originari per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione di corredo o, a seconda del caso, per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione del professionista siano in scadenza senza possibilità di ottenere proroghe ulteriori, di richiedere un’ulteriore estensione dell’automatic stay sino a novanta giorni, prevista dall’articolo 9 del Decreto Liquidità. Questa fase nell’attuale contesto può quindi arrivare a durare anche molti mesi, durante i quali l’accesso al credito per finanziare la continuità aziendale è cruciale.

Le previsioni rilevanti per questa fase sono quelle relative alla finanza interinale attestata – autorizzata dal tribunale su richiesta del debitore accompagnata da attestazione sulla funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori – e alla finanza interinale urgente – autorizzata dal tribunale in via d’urgenza su richiesta del debitore non accompagnata da attestazione, per urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale fino alla scadenza del termine fissato dal tribunale per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione ai sensi dell’articolo 161, comma sesto della Legge Fallimentare o alla scadenza del termine di cui all’articolo 182-bis, comma settimo della Legge Fallimentare (o all’udienza di omologazione di cui all’articolo 182-bis, comma quarto della Legge Fallimentare). La richiesta può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda.

Un allentamento delle condizioni per l’accesso alla finanza interinale nella fase emergenziale ed un ampliamento delle forme di finanziamento “eligible” per includervi garanzie e finanziamenti derivanti da rapporti di fornitura avrebbero potuto costituire una utile linea di intervento del legislatore dell’emergenza (in tal senso, la Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento e del Consiglio UE del 20 giugno 2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, al considerando 66 precisa: “il successo del piano di ristrutturazione spesso dipende dal fatto che l’assistenza finanziaria è erogata al debitore per sostenere, in primo luogo, l’operatività dell’impresa durante le trattative di ristrutturazione” e ancora “l’assistenza finanziaria dovrebbe essere intesa in senso lato, compreso nel senso di erogare denaro o garanzie personali e di fornire giacenze, inventari, materie prime e servizi, ad esempio concedendo al debitore un termine di rimborso più lungo”).

Altra area di rilievo, nell’attuale contesto, e quella dei finanziamenti soci. La loro prededucibilità è disciplinata dall’articolo 182-quater, comma terzo della Legge Fallimentare, il quale prevede, in deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, che ai finanziamenti soci si applichino le previsioni di cui al primo comma – prededucibilità dei finanziamenti in esecuzione del piano (concordatario o sotteso all’accordo di ristrutturazione dei debiti) – e al secondo comma – prededucibilità della finanza ponte – fino alla concorrenza dell’80% del loro ammontare. Nell’attuale situazione emergenziale in cui il “maggior coinvolgimento dei soci nell’accrescimento dei flussi di finanziamento” dell’impresa è apparsa una priorità anche al legislatore (così la Relazione illustrativa del Decreto Liquidità), appare condivisibile l’opinione di chi suggerisce l’opportunità di prevedere la prededucibilità integrale dei finanziamenti soci sia per i finanziamenti in esecuzione di piano e la finanza ponte che per quella interinale, proprio per sostenere la continuità aziendale nella “nuova” fase prenotativa (possibilmente) “allungata”.

Si ricorda peraltro che, in ottica di sostegno alla liquidità dell’impresa in fase di emergenza attraverso un più “convinto” impegno dei soci al suo finanziamento, l’articolo 8 del Decreto Liquidità, fuori dalle ipotesi di finanziamento soci disciplinate dalla Legge Fallimentare, con riguardo ai finanziamenti effettuati nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del Decreto Liquidità e il 31 dicembre 2020, dispone che non si applicano le norme sulla postergazione rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e sull’obbligo di restituzione (per finanziamenti avvenuti nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società) per i finanziamenti a favore della società effettuati dai soci (delle società a responsabilità limitata – articolo 2467 del codice civile) o da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei confronti della stessa (articolo 2497-quinquies del codice civile), con ciò rimuovendo le remore derivanti dalla “juniority” del credito (in materia si veda più diffusamente: “Misure emergenziali e crisi d’impresa nel Decreto Liquidità”).

Il rafforzamento dell’”equity” è invece dichiaratamente perseguito per le imprese di medie dimensioni dall’articolo 26 del decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020 (il “Decreto Rilancio”), attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta (rectius, due distinti crediti d’imposta: uno in capo al conferente e l’altro in capo al conferitario) a fronte di aumenti di capitale a pagamento deliberati e integralmente versati entro il 31 dicembre 2020 in società di capitali e cooperative, con sede in Italia e determinati limiti dimensionali, che abbiano subito una contrazione dei ricavi per effetto della pandemia di COVID-19 e non rientrino alla data del 31 dicembre 2019 nella categoria delle imprese in difficoltà ai sensi della normativa europea rilevante (in materia si veda più diffusamente: “Credito d’imposta per nuovi conferimenti di capitale a pagamento nelle medie imprese: incentiva effettivamente il loro “rafforzamento patrimoniale”?”). Accanto a questo incentivo al rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni, l’articolo 26 del Decreto Rilancio, prevede l’istituzione di un fondo denominato “Fondo Patrimonio Italia”, gestito da Invitalia S.p.A., finalizzato alla sottoscrizione, entro il 31 dicembre 2020, di obbligazioni o titoli di debito di nuova emissione, per ammontare massimo comunque inferiore al triplo dell’aumento di capitale di cui sopra, finalizzati a sostenere costi del personale, investimenti o “working capital” impiegati in stabilimenti produttivi localizzati in Italia, con rimborso “bullet” a 6 anni e “seniority” intermedia tra creditori chirografari e creditori postergati ai sensi dell’articolo 2467 del codice civile.

Da parte di molti commentatori peraltro si è da tempo rilevata l’insufficiente presenza nel mercato italiano di operatori attivi nell’assistenza finanziaria all’impresa in crisi, sia sotto forma di “equity” che di debito, invocando, a fronte del fallimento del mercato, l’impiego in qualità di promotore e sottoscrittore di fondi di investimento specializzato della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (il “CDP”). Un primo (seppur molto limitato) passo in questa direzione si ravvisa nella previsione di cui all’articolo 27 del Decreto Rilancio, il quale autorizza CDP ad istituire un patrimonio destinato denominato “Patrimonio Rilancio”, articolabile in comparti, tutti autonomi e separati tra loro e dal patrimonio di CDP, destinato ad interventi di sostegno e rilancio del sistema economico e produttivo italiano, realizzabili attraverso la sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili, di aumenti di capitale e acquisto di azioni quotate sul mercato secondario in caso di operazioni strategiche, anche relativi ad operazioni di ristrutturazione di società che, nonostante temporanei squilibri patrimoniali o finanziari, siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività.

La legislazione emergenziale ha un focus particolare sulle imprese che erano in bonis prima della pandemia di COVID-19 e che questo fattore esogeno ha imprevedibilmente e rapidamente portato nell’area della crisi. Oltre a quanto precedentemente detto in materia di finanziamento soci, si ricorda che il Decreto Liquidità prevede, per le imprese colpite dalla pandemia di COVID-19, la possibilità di accedere al credito in maniera agevolata beneficiando della garanzia dello Stato – quella concessa da SACE S.p.A ai sensi dell’articolo 1 del Decreto Liquidità e quella concessa dal fondo centrale di garanzia per le PMI istituito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662 (il “Fondo di garanzia PMI”) ai sensi dell’articolo 13 del Decreto Liquidità – fermo restando che, in conformità con il temporary framework in materia di aiuti di Stato adottato il 19 marzo 2020 ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, detto beneficio non è disponibile per finanziamenti nei confronti di beneficiari che presentino posizioni deteriorate pregresse.

La garanzia del Fondo di garanzia PMI può però essere concessa anche in favore di (i) beneficiari finali che presentino, alla data della richiesta della garanzia, esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate – non come “sofferenze” ma – come “inadempienze probabili” o “scadute o sconfinanti deteriorate” ai sensi della disciplina bancaria, purché tale classificazione non sia precedente alla data del 31 gennaio 2020 e (ii) beneficiari finali che, in data successiva al 31 dicembre 2019, siano stati ammessi alla procedura del concordato con continuità aziendale ai sensi all’articolo 186-bis della Legge Fallimentare, abbiano stipulato accordi di ristrutturazione del debito ai sensi dell’articolo 182-bis della Legge Fallimentare o abbiano presentato un piano di risanamento attestato ai sensi dell’articolo 67, comma terzo, lett. d) della Legge Fallimentare, purché queste procedure alternative di soluzione della crisi di impresa fossero “performing” alla data di entrata in vigore del Decreto Liquidità (9 aprile 2020). Con ciò permettendo (almeno nelle intenzioni) l’ottenimento di una garanzia – quella dello Stato prestata dal Fondo di garanzia PMI, sostanzialmente comparabile agli occhi dei finanziatori con il beneficio della prededucibilità, riconosciuto per le ipotesi di finanza erogata in contesti di concordato o accordo di ristrutturazione del debito – e quindi di un accesso agevolato al credito anche nell’ipotesi “minore” di presentazione di un piano di risanamento attestato ai sensi dell’articolo 67, comma terzo, lett. d) della Legge Fallimentare. In concreto, le condizioni previste dalla norma per il test di performance delle procedure alternative di soluzione della crisi di impresa “abilitanti” sembrano porre l’“asticella” molto in alto, lasciando qualche dubbio sull’effettività dell’accesso alla garanzia dello Stato (in materia si veda più diffusamente: “Misure emergenziali e crisi d’impresa nel Decreto Liquidità”).

Inoltre, all’utilizzo della garanzia del Fondo di garanzia PMI il Decreto Liquidità ricorre anche per stimolare ipotesi di “forbearance” nei confronti di imprese che, al di fuori del campo di applicazione della Legge Fallimentare (e quindi ancora formalmente in bonis), rinegoziano la propria posizione debitoria con il sistema bancario. Infatti, l’articolo 13, comma primo, lettera e) del Decreto Liquidità ammette alla garanzia del Fondo di garanzia PMI, in misura compresa tra l’80% e il 90%, i finanziamenti a fronte di operazioni di rinegoziazione del debito del soggetto beneficiario, purché il nuovo finanziamento preveda l’erogazione al medesimo soggetto beneficiario di nuova finanza in misura pari ad almeno il 10% dell’importo del debito accordato in essere del finanziamento oggetto di rinegoziazione (in materia si veda più diffusamente: “Misure emergenziali e crisi d’impresa nel Decreto Liquidità”).

Si ricorda infine che, la legislazione emergenziale ha prodotto norme di sostegno della liquidità di imprese, colpite dalla pandemia ma che non hanno avviato soluzioni concordate della crisi di impresa, tra l’altro, attraverso il mantenimento di linee autoliquidanti ancorché non integralmente “tirate”. Ai sensi dell’articolo 56 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020, convertito con Legge n. 27 del 24 aprile 2020 (il “Decreto Cura Italia”), le micro, piccole e medie imprese con sede in Italia, colpite dalla pandemia di COVID-19, le cui esposizioni debitorie non siano però classificate come esposizioni deteriorate, beneficiano di una moratoria straordinaria che consente il mantenimento fino al 30 settembre 2020 degli importi accordati, sia per la parte utilizzata sia per la parte non ancora utilizzata delle linee di credito a fronte di anticipi su crediti e le banche ed intermediari finanziari beneficiano per queste linee di credito soggette a moratoria della garanzia del Fondo di garanzia PMI (in materia si veda più diffusamente: “Sostegno finanziario alle imprese mediante moratoria”).

A queste posizioni debitorie garantite dallo Stato nel contesto dell’emergenza prodotta dalla pandemia di COVID-19, inoltre, la Banca Centrale Europea, come dalla stessa annunciato in aprile, riserverà un trattamento prudenziale favorevole, adottando flessibilità nell’ambito delle proprie Linee Guida sugli NPL e del relativo Addendum per quanto riguarda la classificazione dei debitori come “unlikely to pay”, estendendo ad esse il trattamento preferenziale previsto per i crediti deteriorati garantiti o assicurati da agenzie di credito all’esportazione ufficiali, con la conseguenza in concreto per le banche di dover affrontare, in termini di “calendar provisioning”, un’aspettativa di copertura minima dello 0% per i primi sette anni di conteggio di anzianità, con ciò allentando la pressione regolatoria sulla qualità di questi attivi bancari e incidendo positivamente sull’intervento emergenziale del legislatore.

 

 

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