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L’istituto, del tutto nazionale, del marchio difensivo può conciliarsi con la normativa dell’Unione Europea?

In Italia, l’istituto del marchio difensivo, di cui all’art. 24 co. 4 CPI, consente al titolare di un marchio registrato di ottenere la registrazione anche di un ventaglio di marchi simili a quello principale, al mero scopo di ampliare il campo di tutela di quest’ultimo ed evitare che terzi registrino (o usino) segni anche solo lontanamente simili alla privativa che si intende, principalmente, difendere.

I marchi difensivi di cui si ottiene la registrazione non vengono utilizzati dal titolare e, ciononostante, sfuggono al principio della decadenza per non uso, che imporrebbe, al contrario, di utilizzare in modo effettivo ogni marchio, al fine di poterne mantenere validamente la registrazione.

Il marchio difensivo rappresenta un unicum nel panorama internazionale, non essendo presente una disposizione analoga a quella predisposta dal Codice della Proprietà Industriale in alcuna normativa europea rispetto a cui, anzi, sembra essere incompatibile, anche alla luce della più recente giurisprudenza sul punto.

Uno dei principi portanti della disciplina dei marchi di impresa prevede che un marchio, entro cinque anni dalla registrazione, debba formare oggetto di uso effettivo da parte del titolare, o da parte di altro soggetto che agisca con il consenso del titolare, per i prodotti o servizi per i quali è registrato, a pena di decadenza del marchio stesso.

L’istituto dei marchi difensivi consente un’eccezione a tale principio, Difatti, il comma 4 dell’art. 24 CPI, prevede che non ha luogo la decadenza per non uso, se il titolare del marchio non utilizzato (il marchio difensivo) è titolare, allo stesso tempo, di altro o altri marchi simili tuttora in vigore, di almeno uno dei quali (il marchio principale) faccia effettiva utilizzazione per contraddistinguere gli stessi prodotti o servizi.

I marchi difensivi, quindi, assolvono come unica funzione quella di essere strumenti idonei ad estendere il campo d’azione del marchio principale, ampliando di fatto la sfera di protezione di quest’ultimo a favore del titolare e assicurando tutela anche nei confronti di segni che, pur simili o identici al marchio principale, risultano piuttosto distanti dal marchio principale.

Per fare degli esempi conosciuti, Apple Inc. in Italia ha registrato dei marchi difensivi aventi ad oggetto diverse stilizzazioni del logo raffigurante la mela morsicata.

La normativa che regola i marchi dell’Unione Europea non riconosce alcuna tutela ai marchi difensivi, e, anzi, reprime la loro registrazione a livello europeo sia in quanto si tratta di marchi non utilizzati (né destinati ad esserlo), sia in quanto la registrazione di un marchio dell’Unione Europea, accompagnata dalla mancata intenzione di utilizzare lo stesso, è ritenuto un indice della malafede del richiedente, il che comporta la nullità assoluta della registrazione stessa.

In tema, particolarmente rilevante è la recente pronuncia del Tribunale UE, emessa il 28 ottobre 2020, nell’ambito del procedimento T-273/19, che, allineandosi ad un consolidato filone giurisprudenziale, ha ribadito la sussistenza di malafede al momento della registrazione del marchio, qualora questa sia effettuata al mero scopo di impedire l’utilizzo del segno a terzi, senza che sussista alcun interesse all’effettiva utilizzazione e sfruttamento della privativa.

La controversia in esame nasce dalla registrazione del marchio “TARGET VENTURES” da parte Target Partners GmbH, al fine di ampliare il campo di tutela del marchio principale “TARGET PARTNERS”.

Il Tribunale ha ritenuto che il titolare, al momento della registrazione del marchio “TARGET VENTURES”, fosse in malafede, in quanto l’interesse del titolare alla registrazione non trovava corrispondenza rispetto agli obiettivi e alle funzioni che si prefiggono le registrazioni di marchio dell’Unione Europea.

Il Tribunale, dunque, ha voluto sottolineare l’incompatibilità con l’ordinamento europeo dell’istituto del marchio difensivo, peraltro già criticato dalla giurisprudenza e dalla dottrina comunitarie. Ciononostante, per l’ordinamento italiano, vista la presenza di una norma specifica ed espressa sul punto, non vi sono dubbi che la registrazione di marchi difensivi sia una prassi lecita e, oltretutto, comunemente sfruttata dalle imprese.

Dal punto di vista della giurisprudenza nazionale (di recente, il caso AIR WICK/AIR FRESH, deciso dal Tribunale di Milano con ordinanza del 15/07/2019), si è sottolineato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 24 co. 4 CPI, è comunque necessario un rapporto di somiglianza tra i marchi difensivi e il marchio principale, tale per cui il nucleo essenziale caratterizzante il marchio principale (il c.d. “cuore del marchio”) resta il medesimo anche con riferimento ai marchi difensivi.

Tale precisazione potrebbe valere ad avvicinare l’istituto del marchio difensivo alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ammette l’uso del segno registrato in forma modificata, purché mantenga ben evidente il cuore distintivo. Tuttavia, la finalità di questo filone interpretativo è quello di permettere un restyling dei marchi, senza imporre la necessità di ricorrere sempre a nuovi depositi, e non, invece, di ampliare l’ambito di protezione di un marchio (come è con riferimento all’istituto del marchio difensivo).

Certamente, l’ultima giurisprudenza europea in tema di malafede pare ancor più accentuare la discrasia tra il nostro ordinamento e quello comunitario. Ciò testimonia la più ampia tutela che il nostro sistema riconosce ai titolari di marchi d’impresa e rappresenta uno strumento che, almeno in Italia, può essere sfruttato efficacemente dalle imprese italiane ed estere, che vogliono investire sul territorio.

 

 

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