Opinioni
Anche per il Giudice di appello la proroga COVID di 85 giorni per gli accertamenti tributari non è applicabile alle annualità i cui termini non scadevano nel 2020.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, con la sentenza n. 2329/6/2024 pubblicata il 4 settembre scorso, ha confermato che la proroga di cui all’art. art. 67 co. 1 del D.L. 18/2020, con il quale il Legislatore aveva previsto che il termine di decadenza entro il quale l’Agenzia delle Entrate deve emettere gli avvisi di accertamento era prorogato di 85 giorni, non si applica, come ipotizzato dall’Amministrazione finanziaria, a tutte le annualità i cui termini di accertamento erano ancora aperti nel 2020 ma solo a quelle il cui termine spirava il 31 dicembre 2020.
La disciplina COVID in tema di accertamento
I Decreti-legge emessi dal Governo durante la pandemia COVID sono stati molteplici e alcuni hanno, anche a breve di stanza tra loro, disciplinato la stessa materia, creando non poche difficoltà.
Difatti, in tema di termini di accertamento, il Governo ha emesso:
- prima il L. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia), con il quale ai sensi dell’art. 67 ha disposto per l’Agenzia delle Entrate e per altri enti impositori la sospensione dall’8 marzo al 31 maggio 2020 (85 giorni) dei termini in decorrenza relativi alle attività di liquidazione, controllo, accertamento, riscossione, interpello, adempimento collaborativo, procedure di collaborazione e cooperazione rafforzata, accordi preventivi, patent box, accessi ad Anagrafe Tributaria e altri accessi;
- e successivamente il L. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) con il quale ai sensi dell’art. 157 ha previsto che gli atti di accertamento in scadenza tra l’8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020 dovevano essere emessi e sottoscritti dal funzionario competente, entro il 31 dicembre 2020 ma notificati tra il 1° marzo 2021 e il 28 febbraio 2022.
Pertanto, con il primo provvedimento era stata prevista di fatto una proroga di 85 giorni dei termini di accertamento che stavano decorrendo alla data dell’8 marzo 2020; con il secondo, era stato stabilito “semplicemente” che gli atti impositivi, i cui termini spiravano a dicembre 2020, andavano comunque emessi e sottoscritti nei termini decadenziali ma potevano essere notificati tra il 1° marzo 2021 e il 28 febbraio 2022.
L’interpretazione della normativa dell’Agenzia delle Entrate
Secondo la risposta che l’Amministrazione finanziaria ha fornito durante il Telefisco 2022, la sospensione di 85 opererebbe per tutti gli accertamenti i cui termini erano ancora pendenti all’8 marzo 2020 (relativi, ad esempio, agli accertamenti per gli anni d’imposta 2016, 2017, 2018), con un effetto c.d. a cascata. Così, ad esempio, l’accertamento relativo all’infedele dichiarazione 2017 (REDDITI 2018), avrebbe potuto essere messo entro il 25 marzo 2024, in luogo del 31 dicembre 2023.
La Sentenza 2329/2024 della Corte di Giustizia di secondo grado della Lombardia
Il caso
La Società Alfa impugnava un avviso di accertamento emesso in materia di pubblicità e pubbliche affissioni per l’anno 2016. Con il ricorso la Contribuente eccepiva, in primis, la decadenza del potere accertativo, in quanto l’accertamento doveva essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo alla data in cui andava presentata la dichiarazione omessa, ovvero entro il 31 dicembre 2021; la notifica, invece, era stata effettuata soltanto nel gennaio del 2022 sul presupposto della valenza della proroga di 85 giorni prevista dal Decreto Cura Italia sopra citato. La Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Milano con la sentenza n. 1186/15/2023 accoglieva il ricorso della Società e avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva appello.
La sentenza di appello
Con la sentenza in commento, i Giudici di appello hanno rigettato l’appello dell’Agenzia rilevando “l’irrazionalità e gli effetti fortemente penalizzanti per il contribuente” delle tesi dell’Agenzia delle Entrate” e stabilendo come “l’unica annualità che ha visto allungarsi di 85 giorni i termini decadenziali è quella del 2015 per via dell’art. 67 del decreto Cura Italia che deve ritenersi superato, in quanto detto periodo è stato ricompreso nel più ampio arco temporale in cui opera la proroga dei termini disciplinata dall’articolo 157 del DL 34/2020 (c.d. decreto Rilancio)“.
In altre parole, secondo i Giudici della Corte di appello, la proroga di 85 giorni ha trovato applicazione solo in relazione agli accertamenti i cui termini spiravano nel 2020, e comunque, solo finché tale previsione non è stata superata e assorbita dall’emanazione del successivo Decreto che ha disposto lo slittamento dei termini di notifica in luogo della suddetta proroga. Pertanto, se tale disposizione non ha più trovato applicazione per l’annualità più colpita dalle problematiche legate alla pandemia (ovvero il 2020), a maggior ragione non può ritenersi applicabile alle annualità successive, non particolarmente colpite da esigenze operative conseguenti al blocco delle attività.
Le altre sentenze di merito
Sul punto, la giurisprudenza di merito si era già espressa in favore dei contribuenti con una serie di sentenze di primo grado, tra le quali – oltre a quella soprarichiamata emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di Milano e impugnata con esito sfavorevole dall’Agenzia – si richiamano:
- CGT I Latina 25 ottobre 2023 n. 974/3/23;
- CGT I Prato 31 ottobre 2023 n. 87/2/23;
- CGT I Torino 21 novembre 2022 n. 890/6/22.
Come detto, tutte le sentenze citate hanno confermato l’illegittimità dell’interpretazione delle proroghe COVID fornita dall’Agenzia delle Entrate durante il Telefisco 2022 e annullato gli atti impositivi per lo spirare del termine decadenziale ordinario.
La “nuova” posizione dell’Agenzia delle Entrate
Peraltro, risulta doveroso rilevare come l’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale di Roma, con l’atto di indirizzo del 29 febbraio 2024, ha invitato gli uffici finanziari a programmare le attività di controllo in modo da attivare e concludere i procedimenti impositivi entro i termini “ordinari” di decadenza evitando, quindi, di avvalersi della proroga di 85 giorni.
Considerazioni conclusive
Benché ai sensi dell’art. 10 della L. 212/2000 (c.d. Statuto dei Diritti del Contribuente) i rapporti “tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede” e nonostante l’invito avanzato lo scorso 24 febbraio dalla Direzione Centrale di Roma, si rileva come purtroppo le Direzioni territoriali dell’Agenzia proseguano nel sostenere, per mere ragioni di cassa, tesi ormai dichiarate illegittime da più Corti di merito.
Dopo l’invito avanzato da una Direzione Centrale, ci si sarebbe aspettati, ad esempio, che un’amministrazione attenta alla leale collaborazione ritirasse un appello manifestamente infondato, riconoscendo un proprio errore.
D’altronde, non vi è chi non veda come appare del tutto illogico anche solo ipotizzare che il Legislatore abbia, nel contempo, da un lato imposto il rispetto del termine decadenziale in scadenza il 31 dicembre 2020, anno di pandemia, e lo abbia, invece, prorogato di 85 giorni per gli accertamenti degli anni successivi, i cui termini di decadenza andavano a scadere quando l’emergenza è stata ormai superata.
La condanna alla refusione delle spese che il giudice di seconde cure ha comminato all’Agenzia, se da un lato può far piacere in ottica di ristoro del contribuente che si è visto notificare un accertamento oltre i termini di legge, dall’altro, in realtà, si ripercuote negativamente sull’Erario e, dunque, su tutti noi contribuenti.
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