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Il destino del marchio nelle procedure concorsuali

Decadenza del marchio e fallimento

Ai sensi dell’art. 24, comma 1, codice della proprietà industriale: “A pena di decadenza il marchio deve formare oggetto di uso effettivo da parte del titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, entro cinque anni dalla registrazione, e tale uso non deve essere sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo”.

La giurisprudenza esclude che il fallimento del soggetto titolare del marchio costituisca causa giustificativa del suo mancato utilizzo.

La pendenza di una procedura concorsuale non impedisce infatti, in linea generale, di fare uso della privativa, eventualmente anche concedendola in licenza a terzi. Il tutto ovviamente nel rispetto delle norme imperative di diritto fallimentare.

L’utilizzo del marchio anche durante il periodo (spesso piuttosto lungo) di svolgimento della procedura di fallimento non è infatti, di regola, un problema in caso di esercizio provvisorio. Diversamente, occorrerà procedere rapidamente all’assegnazione, affinché il marchio non resti “inattivo” a lungo, decada e perda valore l’asset aziendale.

Si può comunque sostenere la sussistenza di un motivo legittimo in virtù di altri elementi, secondo le ordinarie regole in materia.

 

Accordi di licenza e procedure concorsuali

Il contratto di licenza, con cui il titolare del marchio si obbliga, senza privarsi del diritto, a permettere al licenziatario l’uso dello stesso, che sia in corso al momento dell’apertura di una procedura concorsuale, è un tipico rapporto giuridico pendente.

In quanto tale, l’art. 72 della legge fallimentare -in caso di fallimento- lo sospende, fino a che il Curatore Fallimentare, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare in luogo del fallito, ovvero di sciogliersi dal rapporto.

È fatta salva la facoltà del contraente in bonis di mettere in mora il Curatore, che può far assegnare dal Giudice Delegato un termine di sessanta giorni -al massimo- per la scelta tra le due alternative. In mancanza di esercizio di qualsiasi facoltà, il vincolo viene meno.

Per la sua natura di rapporto ad esecuzione continuata o periodica, ai sensi dell’art. 74 della legge fallimentare, il contratto di licenza, sempre in caso di fallimento (del licenziatario con scelta del Curatore di proseguire) determina l’obbligo a carico della procedura di saldare integralmente gli importi dovuti al licenziante per royalties, sia sorti antecedentemente, sia successivamente all’apertura del fallimento.

In caso di concordato preventivo, si applica invece l’art. 169 bis, comma 1, della legge fallimentare, a mente del quale il debitore può chiedere di essere autorizzato “a sciogliersi dai contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data della presentazione del ricorso”. Inoltre, egli può anche ottenere l’autorizzazione alla “sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta”.

Importante anche il comma 2 della citata norma, secondo cui “il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato, ferma restando la prededuzione del credito conseguente ad eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali, dopo la pubblicazione della domanda ai sensi dell’articolo 161”.

 

Avvertenza importante

Sono inefficaci le clausole, talvolta inserite nei contratti standard, che comportano risoluzione ipso iure in caso di fallimento di una delle parti del contratto.

 

 

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