Opinioni
Incentivazione dei key managers: dalle stock options al carried interest
L’incentivazione e la fidelizzazione dei key managers, nonché la capacità di attrarre risorse umane di talento, magari sottraendole alla concorrenza, sono senza dubbio elementi chiave nel successo di ogni impresa.
I piani di stock options si sono sviluppati proprio in quanto strumenti funzionali ad attrarre, incentivare e fidelizzare risorse umane strategiche. Tuttavia, traendo una parte significativa della loro efficacia dal regime fiscale, una volta venuto meno in Italia un regime fiscale favorevole, la funzionalità dei piani di stock options è oggi largamente depotenziata.
D’altro canto, il regime fiscale del c.d. carried interest, introdotto per la prima volta in Italia nel 2017, può talvolta perseguire efficacemente le stesse finalità precedentemente perseguite con i piani di stock options. Vediamo perché ed in quali circostanze.
Il carried interest: un astro nascente?
Una nuova forma di incentivazione è stata introdotta nel 2017 quando, per la prima volta in Italia, è stato espressamente disciplinato il trattamento fiscale del carried interest (art. 60 del D.L. n. 50/2017), ovvero del provento addizionale riconosciuto alle quote che i managers dei fondi di private equity detengono nei fondi che essi gestiscono.
Poiché anche in questo caso la forte correlazione tra il provento ed il lavoro svolto dai managers avrebbe portato ad attribuire al provento la natura di reddito di lavoro (dipendente od autonomo, ma comunque soggetto ad aliquota marginale, addizionali locali e oneri contributivi), la nuova norma ha introdotto una presunzione legale secondo la quale, al verificarsi di condizioni specifiche, tale provento addizionale è riqualificato come reddito finanziario (“reddito di capitale” ovvero “reddito diverso” a seconda della tipologia di provento) soggetto all’aliquota fissa del 26%, senza applicazione di addizionali locali ed oneri contributivi.
Affinché la presunzione operi, devono essere soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- i managers (dipendenti o amministratori senza vincolo di dipendenza) che intendano beneficiare del regime devono investire risorse proprie per acquisire la partecipazione che dà diritto al provento addizionale; l’investimento complessivo di tutti i managers che sottoscrivono tale categoria di partecipazioni deve essere pari almeno all’1% del commitment o, se inferiore, del capitale chiamato nel caso di fondi, escludendo i finanziamenti per effettuare l’investimento a leva, o del patrimonio netto in caso di società;
- il provento addizionale deve maturare dopo che tutti i soci abbiano percepito una somma pari al capitale da ciascuno investito e ad un rendimento minimo previsto dal regolamento che disciplina il carried interest;
- la partecipazione deve essere detenuta per un periodo minimo di cinque anni dall’investimento oppure fino al momento, se inferiore, in cui si verifica un cambio di controllo dell’ente o società ovvero un cambio del gestore, in caso di fondo.
Un nuovo sistema di incentivazione dei managers delle società
Nonostante il sistema del carried interest origini dal sistema tipico di remunerazione dei manager di fondi di private equity, la norma ne consente l’applicazione a qualsiasi situazione in cui le condizioni ivi previste per l’agevolazione siano soddisfatte e quindi potenzialmente a qualsiasi ente o società. Inoltre, il beneficio è riconosciuto anche con riferimento ai dividendi addizionali che il regolamento può attribuire a questa particolare categoria di partecipazioni. Non occorre quindi che il manager realizzi plusvalenze cedendo le partecipazioni.
Il crescente interesse per l’elaborazione e l’implementazione di sistemi di carried interest al di fuori del contesto dei fondi di private equity è provato dal moltiplicarsi di risposte dell’Agenzia delle Entrate ad interpelli fatti dai contribuenti su questo tema.
Senza pretesa di esaustività, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente affermato:
- che la soglia dell’1% del valore del patrimonio netto deve necessariamente essere verificato in termini di esborso monetario effettivo sostenuto dai managers; non concorre quindi a determinare la soglia dell’1% l’incremento del valore di cui avesse beneficiato l’investimento iniziale dei managers (risposta ad Interpello n. 436/2020);
- che una percentuale pari allo 0,15% dell’investimento complessivo non soddisfa la condizione di legge nemmeno qualora tale percentuale costituisca un elevato valore assoluto dell’investimento (risposta ad Interpello n. 407/2020).
Inoltre, non sono state riconosciute valide le forme di carried interest introdotte in sostituzione di elementi variabili della retribuzione precedentemente riconosciuti ai managers, ciò in quanto il carried interest è in tale caso chiaramente finalizzato una parte della retribuzione piuttosto che costituire un provento finanziario derivante dall’investimento (risposta ad Interpello n. 407/2020).
All’opposto, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il carried interest costituisce un provento finanziario anziché una integrazione retributiva quando (risposta ad Interpello n. 435/2020):
- i managers che lasciano la società continuano ad avere diritto ai proventi ordinari ed al carried interest e questo diritto è escluso solo ai bad leavers;
- il diritto alla percezione del carried interest è attribuito anche ai soggetti non legati alla società da rapporti di lavoro dipendente o di amministrazione, circostanza che indica l’inesistenza di un collegamento necessario tra diritto al carried interest e prestazione lavorativa.
Il regime tributario dei proventi qualificabili come carried interest ha dunque suscitato grande interesse e deve certamente essere considerato nel caso in cui si intenda predisporre meccanismi di incentivazione dei key managers.
A questo riguardo, è importante operare uno studio preventivo che consenta di implementare nel modo corretto il meccanismo di incentivazione. In proposito, è utile sottolineare che “l’assenza di una delle condizioni richieste [dalla norma] non comporta quale conseguenza l’automatica riqualificazione del provento come reddito di lavoro” e che “la carenza di uno o più presupposti stabiliti dalla novella richiede una analisi volta verificare caso per caso la natura del provento” (Agenzia delle Entrate, Circolare n. 25/E del 16 ottobre 2017).
Siamo dunque in presenza di uno strumento duttile, la cui potenzialità è ancora tutta da esplorare.
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