Opinioni
I provvedimenti di sospensione dei rimborsi e le nefaste conseguenze in caso di omessa tempestiva impugnazione
La Suprema Corte di Cassazione con la recentissima sentenza 20051 del 13 luglio 2023 ha ribadito che in caso di omessa tempestiva impugnazione del provvedimento di Fermo del rimborso è precluso al contribuente la possibilità di instaurare un autonomo giudizio avverso il diniego tacito formatosi sull’istanza stessa.
I diversi tipi di Fermo del rimborso
L’ordinamento italiano prevede diverse disposizioni in tema di sospensione dei rimborsi, che si differenziano a seconda del tipo di credito vantato dal contribuente o del tipo di debito che sia ha nei confronti della Pubblica Amministrazione.
In particolare, vi è:
- Sospensione dei crediti tributari ex art. 23 del D.Lgs. 472/1997: con tale articolo il Legislatore ha previsto che, qualora il contribuente vanti un credito tributario nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso “se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché’ non definitivi”. La sospensione in parola opera anche se il credito vantato dal contribuente e il debito opposto dall’Erario afferiscono a tributi diversi. Inoltre, secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate e i principi stabiliti dalla Suprema Corte di Cassazione, tra gli atti che giustificano il Fermo rientrano anche gli avvisi bonari e i verbali di constatazione (cfr. Circ. n. 33/2016 e Cass. n. 4038/2019). Tuttavia, la sospensione non può essere legittimamente opposta se i debiti tributari del contribuente sono stati oggetto di dilazione di pagamento o di sospensione, sia giudiziale che amministrativa. Inoltre, l’emissione di una sentenza, anche non definitiva, che dichiari l’illegittimità del debito opposto dal Fisco, travolge automaticamente il provvedimento di sospensione del rimborso, il quale non può più essere lecitamente opposto ai contribuenti (sul punto cfr. Cass. SS.UU. n. 2320/2020).
- Sospensione dei rimborsi IVA ex art. 38-bis del D.P.R. 633/1972: con tale articolo il Legislatore, ha previsto una specifica disciplina per i soli rimborsi IVA, i quali sono sospesi:
- se di importo superiore a 30.000,00 Euro se: a) è assente il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa prevista dall’art. 10, co. 7 del D.L. 78/2009 (sottoscrizione del rappresentante legale e dei soggetti che sottoscrivono la relazione di revisione); b) se i soggetti individuati al co. 4 non hanno prestato apposita garanzia di durata pari a tre anni dall’esecuzione del rimborso;
- se sia stato contestato uno dei reati penali tributari di cui agli artt. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) del d.lgs. 74/2000.
La normativa in commento, pertanto, prevede uno specifico e autonomo sistema di garanzie a presidio dell’interesse erariale, sia sotto forma di fideiussione sia sotto forma di sospensione del rimborso in caso di procedimento penale.
- Sospensione dei rimborsi ex art. 69 del R.D. 2440/1923: con tale articolo il Legislatore ha previsto la sospensione del pagamento dei rimborsi anche non tributari ai contribuenti che abbiano al contempo un debito nei confronti di una qualsiasi amministrazione dello Stato (quindi, anche non fiscale), sino all’emissione di un provvedimento definitivo sulla legittimità di tale debito.
Per consolidata giurisprudenza, tutti i provvedimenti di sospensione dei rimborsi sopracitati sono autonomamente impugnabili dinanzi il competente Giudice, anzi, la giurisprudenza di Cassazione si è spinta sino ad affermare l’impugnabilità anche della comunicazione con cui il rimborso non viene negato, bensì solo subordinato al mero pagamento dei carichi pendenti, o alla prestazione di apposita garanzia (Cass. nn. 5723/2016; 13548/2015).
Il Caso oggetto di giudizio e i principi affermati dalla Suprema Corte di Cassazione
Nel giudizio oggetto della sentenza in commento, il contribuente proponeva ricorso per Cassazione al fine di ottenere la riforma della sentenza di secondo grado che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate alla richiesta di rimborso del credito IVA, a causa della precedente comunicazione da parte dell’Ufficio di un provvedimento di sospensione del rimborso ex art. 38-bis del D.P.R. 633/1972, non tempestivamente impugnato dal contribuente.
Nel ricorso il contribuente eccepiva, che la Corte di merito aveva errato nel ritenere il provvedimento di sospensione comunicatogli un atto autonomamente impugnabile, con la conseguente cristallizzazione dello stesso per mancata opposizione, in quanto il suddetto atto non conteneva alcuna manifestazione di una volontà decisoria avendo l’Agenzia comunicato la sospensione “per verifica dei presupposti”, senza poi contestarne o comunicarne, la sussistenza.
La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso del contribuente stabilendo che:
- la comunicazione della sospensione di un rimborso IVA in vista di una sua compensazione, differendone in concreto l’esecuzione, è un atto autonomamente impugnabile, atteso che “è necessario considerare che la «formale» pretesa tributaria, che deve rinvenirsi nell’atto dell’amministrazione finanziaria perché possa costituire oggetto di impugnazione, può estrinsecarsi in una manifestazione di volontà dell’Ufficio sia «pretensiva» (di un maggiore tributo) che «oppositiva (al diritto alla restituzione di un tributo riscosso od al riconoscimento del diritto alla esenzione o all’applicazione del minore tributo), comunque idonea ad incidere negativamente nella sfera patrimoniale del contribuente”;
- dall’autonoma impugnabilità della comunicazione di sospensione del rimborso (nel termine di sessanta giorni dalla ricezione) consegue l’inammissibilità del successivo ricorso depositato avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’originaria istanza di rimborso;
- In tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento “atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum””.
Conseguenze e criticità
Alla luce dei principi ribaditi dagli Ermellini nel recente arresto giurisprudenziale in commento, risulta evidente che il provvedimento di sospensione del rimborso ha efficacia preclusiva sulla successiva eventuale impugnazione del diniego tacito all’istanza di rimborso e vada pertanto equiparato ad un atto di diniego espresso, che va dunque impugnato tempestivamente.
Tuttavia, a meno che l’Amministrazione finanziaria, con la comunicazione di sospensione del rimborso, non neghi implicitamente anche il diritto ad ottenere lo stesso, sembrerebbe che si stiano confondendo le aree di operatività di due istituti ben distinti.
Difatti, la sospensione del rimborso oppone un vincolo all’erogazione del rimborso in presenza di un atto con cui è stato accertato o contestato un controcredito in favore dell’Amministrazione finanziaria, non necessariamente definitivo, potendo ben essere interlocutorio per “verifica dei presupposti”; viceversa, il diniego di rimborso nega in modo definitivo, anche tacitamente, la spettanza del credito richiesto dal contribuente, pertanto, il fermo trova causa nella c.d. ragione di credito, e il diniego nell’infondatezza della domanda di rimborso.
A conferma di quanto sopra è il caso di evidenziare come la sospensione del rimborso sia una misura cautelare, con la conseguenza che, se non viene impugnata e il debito opposto dall’Amministrazione finanziaria viene soddisfatto o annullato, il fermo viene automaticamente meno perdendo il proprio fondamento.
L’ordinanza in discussione conferma una precedente pronuncia della Cassazione rimasta per quanto ci consta isolata, ovvero la n. 5723 del 23 marzo 2016 (peraltro espressamente richiamata dai giudici) in cui la Corte era giunta alla medesima conclusione.
Gli effetti pratici dell’orientamento richiamato non sono trascurabili riverberando i propri effetti sul piano della tutela giurisdizionale del contribuente.
Difatti, se il provvedimento di sospensione viene comunicato dopo lo spirare del termine dei 90 giorni dalla notifica dell’Istanza di rimborso, il contribuente si troverà dinanzi al dilemma se impugnare sia il silenzio rifiuto che si è venuto a formare per lo spirare del suddetto termine, sia il provvedimento di sospensione comunicatogli. Se invece questo viene comunicato prima dei 90 giorni, si pone il dilemma opposto, ovvero se occorre impugnare subito la sospensione e poi anche il silenzio-rifiuto eventualmente formatosi trascorso il termine di 90 giorni.
Per chi scrive, a titolo prudenziale il contribuente dovrebbe sempre impugnare entro sessanta giorni sia la sospensione del rimborso, che il diniego tacito che si forma dopo novanta giorni dalla notifica dell’istanza di rimborso. Ciò quand’anche il fermo non fosse basato sull’infondatezza della domanda di rimborso e anche quando, paradossalmente, adempiuta la c.d. ragione di credito il Fisco fosse pronto a erogare il rimborso.
Ancor più preoccupante risulta l’orientamento della Cassazione (cfr. Cass. nn. 6395/2021 e 21082/2019) che riconosce come non sia addirittura necessario che il provvedimento di sospensione debba essere notificato al contribuente, ben potendo essere opposto in sede giurisdizionale, ove il contribuente impugni il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso.
In particolare, è stato stabilito che “l’Amministrazione, anche nel caso in cui non abbia adottato un provvedimento di fermo o di sospensione del rimborso, conserva la possibilità di opporre direttamente – nel giudizio che sia stato avviato nei confronti del diniego di rimborso (e, in ispecie, in caso di silenzio-rifiuto) – l’eccezione di compensazione che, se ritualmente e tempestivamente proposta, costituisce una eccezione in senso stretto (di merito) e non un indebito ampliamento dell’oggetto del giudizio.”.
In definitiva, constatato l’orientamento pro Fisco che ha adottato la Suprema Corte di Cassazione, risulta imprescindibile da parte dei contribuenti, una particolare attenzione nel caso vengano presentate eventuali istanze di rimborso dei maggior crediti vantati, in quanto l’omessa tempestiva opposizione ai provvedimenti di sospensione potrebbe comportare l’impossibilità, almeno nel breve periodo, di ottenere il rimborso spettante.
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