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Il rapporto tra i sistemi di distribuzione selettiva e il ruolo di hosting provider attivo

L’incremento della diffusione dello shopping online – su cui ha influito anche la pandemia di COVID-19 – ha comportato, inevitabilmente, una sempre maggior interferenza tra l’istituto della distribuzione selettiva e la responsabilità delle piattaforme che, in qualità di hosting provider, consentono di vendere beni tramite e-commerce.

Questo impone al titolare di una privativa che preveda, per la diffusione dei propri prodotti, una rete selezionata di distributori, di prestare costante attenzione alle posizioni delle grandi piattaforme di ecommerce che, a loro volta, offrano sul mercato tali prodotti.

La distribuzione selettiva, ai sensi del Regolamento dell’Unione Europea 330/2010 in tema di accordi verticali, consiste in un sistema di distribuzione, nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto solo tramite distributori selezionati, sulle base di specifici criteri ei distributori, a loro volta, si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati in un dato territorio.

Nonostante l’adozione di tale sistema possa comportare una notevole contrazione della libera concorrenza sul mercato, la distribuzione selettiva viene consentita qualora la scelta dei rivenditori avvenga sulla base di criteri oggettivi di carattere qualitativo, e a condizione che tali criteri siano stabiliti uniformemente e applicati in maniera non discriminatoria nei confronti di tutti i potenziali rivenditori. A tali condizioni infatti, e purché si tratti di prodotti di alta fascia, si ritiene che tale sistema sia funzionale a salvaguardare il prestigio e l’immagine del bene (e del marchio a questo apposto).

Questa impostazione, di per sé, non si scontra con la possibilità di offrire sul mercato tali beni a mezzo internet. Ciononostante, possono sorgere contrasti qualora l’offerta al pubblico avvenga tramite piattaforme di e-commerce, che non corrispondano ai soggetti distributori.

Il D. Lgs n. 70/2003, inerente alla disciplina del commercio elettronico, definisce come attività di hosting la memorizzazione delle informazioni fornite da un destinatario del servizio. Il prestatore di tale servizio – o hosting provider – non risponde civilmente dei contenuti delle informazioni memorizzate, qualora non sia effettivamente a conoscenza della natura illecita del contenuto e qualora, non appena a conoscenza di tali fatti su comunicazione dell’autorità competente, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.

Questo regime viene meno qualora l’hosting provider sia qualificato come attivo, ossia (secondo l’interpretazione giurisprudenziale) quando l’attività di memorizzazione delle informazioni non si limiti ad attività di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, ma vi sia, al contrario, una interferenza del prestatore rispetto al contenuto ospitato.

Queste tematiche sono state trattate dal Tribunale di Milano nella recente sentenza n. 5265/2020 del 19 ottobre 2020. La controversia era stata instaurata dalle attrici, appartenenti al gruppo del noto brand “Shiseido” e licenziatarie esclusive dei marchi “Narciso Rodriguez” e “Dolce Gabbana”, nei confronti di Amazon. Le attrici contestavano ad Amazon che l’offerta dei prodotti dei marchi licenziati attraverso tale piattaforma – estranea al sistema di distribuzione selettiva cui i prodotti stessi erano sottoposti – non avrebbe tutelato adeguatamente il prestigio dei segni distintivi in questione, ledendo la loro notorietà ed interferendo con gli stessi.

Amazon, dal canto suo, aveva eccepito di non poter essere ritenuta responsabile di alcun danno ai marchi suddetti, sia in quanto si limitava ad offrire un servizio di hosting, sia in quanto, non partecipando al sistema di distribuzione selettiva, non si riteneva obbligata a rispettarne i relativi accordi.

Il Tribunale, invece, ha qualificato la piattaforma di e-commerce Amazon come hosting provider attivo. È stato, infatti, sottolineato che, anche quando Amazon non opera come venditore diretto, in ogni caso cura e gestisce il servizio di logistica e di customer care ed è responsabile dell’attività promozionale o, comunque, consente la visualizzazione di annunci relativi alle offerte di terzi.

Ciò posto, la Corte ha ritenuto che la vendita di tali prodotti su Amazon comportava una grave lesione del prestigio dei marchi “Narciso Rodriguez” e “Dolce e Gabbana”, in ragione del fatto che le concrete modalità di vendita sulla piattaforma non coincidevano con quelle richieste all’interno del sistema di distribuzione selettiva predisposto.

In questo frangente, il Tribunale ha precisato che gli standard di vendita previsti nei contratti di distribuzione selettiva possono essere fatti valere anche nei confronti di terzi, allorquando tali standard integrino requisiti che, ove violati, ledano comunque l’immagine di prestigio del marchio.

Questa decisione rappresenta l’ennesima conferma della sempre maggiore attenzione che la giurisprudenza, in particolare meneghina, da una parte, presta alla tutela dei marchi prestigiosi e di alta gamma, offrendo ai titolari o licenziatari di marchi di lusso dei rimedi efficaci per tutelare le proprie privative nei confronti di terzi nei contesti di distribuzione selettiva; dall’altra affronta la tematica del commercio online e della responsabilità degli ISP (Internet Service Provider), adattando la disciplina esistente prossima ad una riforma, a fenomeni che mutano rapidissimamente.

 

 

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