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Reati fiscali e sequestro preventivo: la Corte di Cassazione ne conferma la possibile coesistenza

Con la sentenza n. 14286 del 23.11.2022 (dep. 05.04.2023), la Corte di Cassazione, Sezione III penale, ha inteso confermare l’orientamento, ormai maggioritario e consolidato, che ritiene conciliabile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 12-bis D.lgs. n. 74/2000 con l’impegno espresso, assunto dal contribuente, a versare all’Erario quanto dovuto a titolo di imposta evasa, magari aderendo ad uno degli strumenti deflattivi previsti dalla normativa tributaria – da ultimo dalla L. n. 197 del 29 dicembre 2022 –, i quali dispongono nella generalità dei casi un pagamento rateale del debito.

 

Il Caso affrontato dalla Corte di Cassazione

La vicenda trae origine dal ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani avverso l’ordinanza con cui l’omonimo Tribunale aveva revocato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca in essere su alcune somme di denaro, ritenendo che mancassero le esigenze cautelari e nello specifico che “la rateizzazione del debito tributario esclude automaticamente il periculum in mora e la sequestrabilità delle somme destinate al pagamento del debito stesso”.

 

La decisione della Corte

Per quanto il Procuratore Generale, nel proporre ricorso, abbia errato circa l’indicazione della confiscabilità del bene appreso quale unico requisito necessario, “non essendo anche richiesto il concorrente requisito del periculum in mora”, la Corte di legittimità ha accolto il ricorso, discostandosi quindi dall’affermazione del Tribunale di prime cure.

I Giudici della Suprema Corte hanno, infatti, ritenuto “ferma la necessità che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria di cui all’art. 12 bis. D.lgs. n. 74 del 2000, sia giustificato dall’esistenza (e persistenza) del “periculum in mora”, tale periculum non può essere escluso per il sol fatto che il contribuente si sia impegnato al pagamento rateale del debito”.

La tesi secondo cui il pagamento del debito tributario – o anche la semplice ammissione al pagamento – osta all’aggressione patrimoniale finalizzata alla confisca diretta o per equivalente, stando alla ricostruzione offerta dai Giudici, “comporta di fatto una mutazione genetica della confisca (così come disciplinata dall’art. 12-bis D.lgs. n. 74 del 2000) che diverrebbe non più obbligatoria, bensì, nella peggiore delle ipotesi per il contribuente facoltativa”. Del resto, così come previsto dall’art. 12-bis, comma 2, D.lgs. cit.: “qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, produce l’effetto che la cautela reale non possa essere mantenuta sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma che deve essere ridotta in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione”.

Gli Ermellini, ritenendo “sussistente la possibilità di pagare il debito tributario anche in costanza di sequestro”, hanno affermato che, da un lato, il contribuente imputato potrà ottenere la restituzione delle somme in sequestro per la quota corrispondente alle rate man mano versate (ciò sulla base del rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità che regolano le misure cautelari); dall’altro, che l’effetto ablativo della confisca potrà essere anticipato – rispetto alla definizione del giudizio – là dove nel caso concreto ricorra anche il requisito del periculum in mora.

 

Osservazioni critiche

In sede di applicazione della misura cautelare del sequestro, è ormai noto che, a seguito della sentenza a Sezioni Unite Ellade (Cass. SS.UU., n. 36959/2021), la Corte di legittimità, oltre a sancire l’obbligo in capo al giudice di fornire una concisa motivazione sul requisito del periculum, impone di svolgere un giudizio di proporzionalità in concreto tra l’interesse pubblico, impersonificato nell’aggressione del bene per neutralizzare una pericolosità relazionale tra la res e l’imputato, ed i diritti fondamentali privati in gioco, tra cui si potrebbero facilmente ricondurre, oltre alla presunzione d’innocenza, anche la tutela della proprietà privata e della libera iniziativa d’impresa, nonché di tutto ciò che ne consegue.

In altri termini, l’obbligo di motivazione sul periculum in mora potrà ritenersi soddisfatto solamente nel caso in cui il giudice sia stato in grado di argomentare le ragioni che fanno ritenere “ragionevolmente eccedenti” gli interessi pubblici pur avendo puntualmente valorizzato quelli del singolo.

Questa necessaria ponderazione apre ad una prima considerazione.

Per quanto la confisca prevista all’art. 12-bis D.lgs. n. 74/2000 sia obbligatoria, non tutte le situazioni concrete lasciano intendere come sussistente il pericolo che l’imputato-contribuente non adempia all’obbligazione tributaria provvedendo all’integrale pagamento del debito erariale, e ciò soprattutto in tutti quei casi in cui il contribuente, oltre ad aver assunto un obbligo con l’Agenzia dell’Entrate e quindi aver attuato una qualsiasi procedura di rientro, appaia, ad esempio, in regola nel versamento delle rate concordate magari avendo attinto a risorse finanziarie proprie o avendo richiesto prestiti personali.

Se il giudizio alla base dell’applicazione del sequestro preventivo è un giudizio di proporzionalità costituzionalmente orientato, il potere valutativo in capo al giudice non potrà di certo omettere di prendere in debita considerazione la fattispecie concreta alla luce delle contingenti e peculiari circostanze di contesto, tanto da poter ravvisare o meno la sussistenza dei presupposti applicativi della misura cautelare che farebbero applicare all’interprete il vincolo non ritenendolo manifestatamente sproporzionato rispetto alle possibilità di conseguire il fine perseguito dal legislatore con questa specifica misura – ovvero garantire risorse all’Erario. L’assenza del periculum, del resto, renderebbe la misura una pena patrimoniale ante iudicium, in aperto contrasto non soltanto con il principio di proporzionalità, ma anche con la garanzia della presunzione di non colpevolezza.

Ciò, a maggior ragione, sembrerebbe ricorrere nell’ipotesi in cui il contribuente imputato manifesti la propria volontà di corrispondere l’ammontare dell’imposta evasa oggetto d’imputazione, attraverso l’adesione ad uno di quegli strumenti tipici previsti dall’ordinamento tributario ed in particolare dalla legge di bilancio 2023, in quanto, sempre alla luce del principio di diritto sancito dalla citata sentenza Ellade, appare difficile conciliare la motivazione posta alla base del potere espropriativo (cautela reale) con il meccanismo di favore previsto e disciplinato dall’art. 23 del D.L. n. 34/2023 (cd. Decreto Bollette), convertito in L. n. 56/2023, che assicura addirittura all’imputato la non punibilità, in conseguenza dell’avvenuto riversamento dell’imposta dovuta.

Se collochiamo sul piano concreto dell’esperienza fattuale, la “possibilità”, descritta dalla Corte di legittimità nella sentenza in commento, di pagare il debito tributario con risorse finanziarie nuove e diverse rispetto a quelle attinte dal vincolo cautelare reale, appare difficilmente compatibile con una situazione consolidata e diffusa in cui in particolare le imprese contribuenti – per fattori macroeconomici e congiunturali noti -, laddove colpite da un sequestro preventivo, difficilmente saranno nella condizione di reperire ulteriori finanze per estinguere il debito tributario maturato. Se, come sembra, stando alla pronuncia in commento, sul piano dell’esegesi normativa l’approdo ermeneutico non dovesse risultare superabile, non resta che auspicare un intervento legislativo che consenta al giudice penale di disporre, su richiesta del contribuente imputato, il versamento diretto all’Erario delle somme in sequestro, a tutto beneficio dell’efficienza del sistema nel suo complesso, specialmente quando siano già in corso procedure di rateizzazione del debito. Ciò segnerebbe un significativo passaggio verso la modernità nel rapporto tra contribuente, Erario ed Autorità giudiziaria penale.

Invero, se l’impostazione legislativa è volta ad assicurare all’Erario il ristoro dell’imposta evasa, tale obiettivo deve essere soddisfatto anche evitando situazioni di vera e propria distorsione, in cui il contribuente non sia in grado di dar seguito alla rateizzazione in essere, in quanto le somme necessarie per adempiere sono proprio quelle attinte dal vincolo cautelare.

 

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